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Pesaro ha ricordato Arnaldo Forlani, il politico più importante del nostro territorio

Pesaro ha ricordato Arnaldo Forlani, il politico più importante del nostro territorio

L’assise riunita nella sala della Repubblica del Teatro Rossini. Presente il senatore Pier Ferdinando Casini. La testimonianza dell’ambasciatore Giorgio Girelli: “Potere discreto e comportamenti sempre corretti”. In apertura il presidente Perugini ha ricordato anche Ilaro Barbanti e Roberto Biagiotti.

PESARO – Un Consiglio comunale nel ricordo di Arnaldo Forlani, ma anche di Ilaro Barbanti e Roberto Biagiotti. Politici nazionali e amministratori locali, «ma prima di tutto uomini, che hanno portato avanti con passione, professionalità e determinazione i loro sogni e le loro idee per il Paese e la città che tanto hanno amato».

Il presidente Marco Perugini ha aperto così l’assise monotematica in memoria dell’ex presidente del Consiglio dei ministri scomparso lo scorso luglio, riunita nella sala della Repubblica di Teatro Rossini «uno spazio dal forte valore simbolico – ha continuato Perugini –, che dopo tanti anni di lavori nel 1980 il presidente Forlani inaugurò». Un pomeriggio solenne, al quale ha preso parte Pier Ferdinando Casini, senatore della Repubblica Italiana, per tanti anni al fianco dell’ex segretario della Democrazia Cristiana e la famiglia Forlani.

Gli interventi

Ad aprire gli interventi, dopo il minuto di silenzio per ricordare l’ex vicesindaco Ilaro Barbanti, è stato il sindaco di Pesaro Matteo Ricci: «Forlani è stato un grande politico, nato a Pesaro e che negli anni ha vissuto profondamente la città negli ambiti sociali, ma anche sportivi – ha ricordato -. Il nostro non era storicamente un luogo di maggioranza democristiana, eppure lui, partendo da consigliere d’opposizione, è diventato uno dei più grandi. Un talentuoso politico con la “P” maiuscola, il più grande che il nostro territorio abbia mai avuto, impegnato su contesti nazionali e internazionali durante anni difficili per il Paese. Nonostante questo non ha mai dimenticato le sue origini e ha sempre sostenuto il suo territorio», ha concluso Ricci ricordando il suo impegno per il teatro Rossini, la Fano-Grosseto, il Rof.

A ripercorrere tutta la carriera politica e personale di Forlani è stato poi l’ambasciatore Giorgio Girelli, coordinatore del Centro Studi Sociali “Alcide De Gasperi”.

“Rinnovo innanzitutto – ha detto Girelli – espressioni di profondo cordoglio ai familiari di Arnaldo Forlani e rivolgo il mio compiacimento al Comune di Pesaro per l’organizzazione di questo incontro volto a ricordare ed onorare lo statista pesarese che, come hanno scritto il sindaco Matteo Ricci ed il presidente del Consiglio comunale Marco Perugini, “ha lasciato un solco profondo nel contesto istituzionale italiano”.

“Convinto credente, come emerge anche da una intervista di qualche tempo fa rilasciata a Milena Gabanelli, Forlani teneva ben distinte le sfere della religione da quella della politica tanto che nel corso degli anni più volte adombrò la inopportunità del termine “cristiana” per il suo partito ritenendolo troppo impegnativo per un mondo, quello della politica, “terreno della competizione e della concorrenzialità, dove – egli diceva –  le malattie sono sempre presenti”. Salvo non concordare quando la denominazione fu davvero cambiata in Partito Popolare, quale conseguenza delle cosiddette Mani pulite. Gli appariva una imposizione del momento che assumeva la veste di una smentita di tutta la positiva azione della DC nel corso della storia della  cosiddetta prima repubblica.

“Il rifiuto della strumentalizzazione della religione a fini politici – ha quindi aggiunto Giorgio Girelli – si manifestò anche in occasione del referendum sul divorzio, rispetto al quale aveva posizioni coincidenti con quelle di Carlo Bo, val dire che  sarebbe stato meglio evitarlo. E quando proprio il giorno del risultato, durante una riunione di democristiani  qui a Pesaro presso la sede della Gioventù Italiana, lo raggiunse, verso le 16, una telefonata del deluso Fanfani, fu signorilmente comprensivo con il leader sconfitto, pur ribadendo che su certi temi non è consigliabile lo scontro politico.

“Conseguentemente non ricercava contatti con le alte gerarchie. Per anni, nel corso della collaborazione che con lui ho avuto specie quando è stato segretario politico, il riscontro di contatti ad alto livello era frequente, inclusa la visita  della coppia Gianni Agnelli e Cesare Romiti. Gli incontri con uomini di chiesa si limitavano   a qualche parroco che veniva a perorare le cause della propria comunità.

“Frequentava d’estate a Piobbico – ha poi ricordato l’ambasciatore Girelli – il cardinale Palazzini, più come conterraneo che come gerarchia vaticana. Il suo significativo apporto, comunque, alla revisione dei patti lateranensi, con l’assistenza del capo gabinetto, il compianto consigliere di Stato Ugo Gasparri, già direttore generale per gli affari di culto, è più che noto.

E quando ne aveva la possibilità non mancava il suo sostegno alla chiesa locale: allorché risarcito dalla magistratura  con dieci milioni di lire per una accusa ingiusta rivoltagli da un organo di stampa, devolse l’intero importo all’Istituto Suore missionarie della Fanciullezza per le loro opere benefiche.  I rapporti con la diocesi pesarese furono sempre sereni, incluso il vescovo Borromeo, che non mancava di polemiche verso Venturi e Sabbatini. Non accettava la loro “apertura a sinistra” perché “I cattolici – mi disse, esponendomi la sua soggettiva valutazione  –  possono allearsi anche con il diavolo, ma questi di oggi non sono abbastanza forti per mettersi con i socialisti”. Forlani pur a capo insieme ad altri leader DC di quella linea, schivò  – a quanto mi risulta – contrasti diretti.

“Sereno e garbato dunque, ma non cedevole. Quando da un alto prelato del sud delle Marche venne duramente attaccato per la linea politica che sosteneva, non esitò a replicare: “Credevo di trovare nell’arcivescovo un pastore, non un lupo!”.

“Delle responsabilità governative elevatissime e del forte ruolo esercitato nella DC e nel progresso del Paese, incluso il consolidamento della democrazia non sempre al sicuro negli anni del suo impegno, avremo il piacere di ascoltare  l’Amico Presidente Pier Ferdinando Casini, cui esprimo vicinanza ed affetto. E pensare – restando ai miei ricordi di ambito locale – che, come ogni genitore,  la mamma, quando egli era agli esordi dei suoi impegni a Roma, manifestava preoccupazione perché ambiva  vedere il figlio “sistemato”.

“Da bambino – ha poi ricordato Girelli -, spedito da mia madre per un acquisto presso il verduraio, lo stesso frequentato dalla signora Forlani, a richiesta di notizie sui figli,  la sentii esporre  valutazioni molto soddisfatte su Romolo, il fratello, già “a posto” quale  maestro elementare, mentre scuoteva la testa su Arnaldo perché… “perdeva il tempo con la politica”. Anche se le sue capacità lo portarono al successo, pure lui però non vedeva per un giovane traguardi certi nella politica. A me, quando ero studente, ha sempre raccomandato:” Studia. Trovati un posto, e solo dopo fai politica”.

“Molti anni dopo, in un incontro alla Tombolina  di Loris Fraticelli, Loreno Zandri, attuale vicesegretario generale della Camera di Commercio delle Marche, capitò a tavola accanto a lui il quale , appreso che il giovane stava per laurearsi, impartì lo stesso ammonimento:” Finiti gli studi trovati un lavoro, poi occupati di politica”. Trovava il tempo per dedicarsi anche a buone letture e non erano rare nelle conversazioni le citazioni di qualche rinomato autore.  Anche di quelli locali: fu mio testimone di nozze e quando apprese che la futura consorte era nipote di Pina Bocci, avvocato e fine poetessa, lo sentii recitare a memoria una intera poesia della scrittrice, apprezzata peraltro anche da Manara Valgimigli e Carlo Bo.

“Non trascurava la lirica, e il luogo prescelto per questo incontro ne è testimonianza. Fu Forlani, Ministro degli Affari Esteri, a firmare il primo accordo di cooperazione culturale con la Repubblica Popolare Cinese  il 6 ottobre 1978 cui seguirono, tra l’altro, le presenze in Cina di Pavarotti, l’orchestra Santa Cecilia, il Teatro di Firenze e, nei tempi attuali, tra i tanti, il Rossini Opera Festival e lo stesso Conservatorio Rossini. Fu molto vicino anche al ROF. Del suo sostegno ebbi diretta testimonianza – ha aggiunto l’ambasciatore Giorgio Girelli – per le telefonate sul tema che Gianfranco Mariotti mi faceva al Quirinale dove svolgevo le funzioni di consigliere parlamentare di Cossiga. E ricordo pure quando Mariotti lo volle, nell’intervallo di un’opera, nel suo palco per rinnovargli ringraziamenti e offrirgli una coppa di Champagne.

“Un mio estroso compagno di scuola, Enrico Roseo, si adoperò per realizzare un incontro con Renata Tebaldi che venne accompagnata alla casa di Novilara dove Forlani era giunto, da solo, non molto tempo prima.  Non c’era stato modo, quindi, di predisporre una accoglienza adeguata alla grande artista. Ma il colloquio procedette egualmente in modo aperto e gradevole,  con grande reciproca spontaneità. Alla fine Forlani disse: “Cosa si può offrire ad una Signora? Certamente una rosa. Ma io ho solo questa”. E porse alla Tebaldi una “rosa del deserto” che arredava il suo salotto. Il bell’aggregato di cristalli fu molto gradito dalla cantante.

“I toni troppo accesi non appartenevano al suo patrimonio oratorio. In una intervista al Corriere della Sera del dicembre 1985 sostenne che “il vero guaio della politica è la ricerca della teatralità. Ma in questo modo tutt’al più, si accontentano esigenze “sceniche” dei mass-media”. Sembra il commento a certi talk show di oggi, più propensi ad offrire il ring che elementi di pacata riflessione. E continuava: “La Dc deve restare una grande forza tranquilla, in grado di assicurare stabilità al governo e soluzione dei problemi che stanno a cuore alla gente”.

“Negli schieramenti opposti vedeva non nemici, ma avversari, forze alternative, con le quali  confrontarsi, con toni pacati: ed al riguardo ricordo che mi trovai ad introdurre un suo comizio, in sede di campagna per le elezioni politiche, nella gremita Piazza del Popolo di Pesaro. Usai accenti da arringa, graditi alla folla. Nel corso del suo discorso Forlani mi corresse: “Ho udito toni aspri nei confronti dei comunisti. Ma non siamo più nel ’48!”.

“Però, quando da segretario provinciale della DC chiedevo consiglio circa gli insistenti inviti del PCI alla partecipazione a manifestazioni sulla Resistenza, sulla “Pace”, ecc.. mi rispondeva:” Vai se ci sono anche i Liberali”.

“Fu con lui ministro degli esteri  che venne approvata la risoluzione Piccoli-Natta “con il riconoscimento della politica estera e della Alleanza Atlantica” da parte dei comunisti. Il PCI avanzava su un terreno nuovo anche se non ancora accostabile – secondo Forlani – a responsabilità di governo soprattutto in ragione degli assetti  internazionali   come i casi Berlinguer e Moro rimarcavano. E del suo impegno anche  su Moro, speso sempre con il consueto costume discreto, se ne saprà di più quando saranno disponibili le carte degli archivi di taluni paesi esteri.

“Vengo infine ad un episodio che non posso tralasciare perché connesso con i momenti più dolorosi della sua esperienza politica.

“Era favorevole al finanziamento pubblico dei partiti. A me, giovanissimo, sembrava invece  che i partiti dovessero essere sostenuti con gli apporti dei propri iscritti. Lui spiegava come quel contributo fosse del tutto insufficiente e che il finanziamento pubblico avrebbe consentito di contestare i comportamenti di chi alimentava contribuzioni illecite. Quindi nella filosofia del personaggio non c’era spazio per le “tangenti”.

“A me capitò di ricevere da lui un consistente contributo per iniziative della DC in provincia di Pesaro e Urbino. Alla mia domanda su chi avrei dovuto ringraziare esclamò: “Ringraziare? Di qui, vengono, di qui!”, battendo ripetutamente con il palmo della mano la parte dove solitamente viene allocato il portafoglio. Si trattava di quasi la metà della sua indennità parlamentare.  Ironia della sorte, fu proprio una di quelle contribuzioni improprie a procurargli il più forte dispiacere della sua vita politica.

“Oggi Piero Sansonetti, comunista, per quasi 30 anni all’Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore, ha riproposto sulla rinata “Unità” un suo articolo di otto anni fa  in cui deplorava che Forlani, mai accusato di avere messo in tasca una sola lira, fosse stato condannato per avere “oggettivamente” favorito il finanziamento del suo partito. Perché? Perché il tribunale accettò la formula famosa del “non poteva non sapere”. Dunque, rileva ancora Sansonetti, “non ci sono prove che sapesse“. Ed il codice penale prevede condanne solo in presenza di prove certe. Quindi la condanna intervenne in base ad una supposizione, nonostante peraltro che lo statuto del partito escludesse ogni competenza del segretario in tale materia della quale doveva occuparsi solo il segretario amministrativo.

“Ora, alla sua scomparsa, le Istituzioni hanno risposto bene al doveroso impegno di rendergli onore. E con lui, in fondo,  alla stessa  “prima Repubblica”  di cui egli è stato protagonista e simbolo.

Nell’epoca della cosiddetta “immagine” la sua discrezione non ha reso evidente a tutti il suo operato mirato sempre “a far valere le ragioni della corresponsabilità delle forze politiche verso il Paese di cui – insisteva – bisogna risolvere i problemi veri”.

“I solenni funerali di Stato ed il lutto nazionale  sono  stati una prima risposta al debito che la Repubblica ha nei confronti di una personalità  che ha fatto tanto per l’Italia, senza esibizione mediatica. E sarà  la Storia  – ha concluso Giorgio Girelli – a rendergliene compiuta testimonianza e merito”.

Poi gli interventi dei consiglieri comunali. Giampiero Bellucci, (Pd). «In questo mio intervento vorrei evidenziare la radice dell’impegno politico di Forlani. Cresciuto nella nostra città, formatosi in età giovanile nelle file dell’Azione Cattolica della Parrocchia di Loreto, trova in questo percorso formativo un naturale sbocco ad impegnarsi nel nascente partito della Democrazia Cristiana.  Ho avuto modo di conoscere aspetti biografici di Arnaldo Forlani da alcuni articoli di Ernesto Preziosi, in particolare da quello pubblicato nel giornale diocesano “Il nuovo amico”, subito dopo la scomparsa del Presidente. Preziosi ricorda che Forlani gli aveva raccontato l’inizio della passione politica. Aveva sentito parlare di impegno politico dal presidente diocesano di Azione Cattolica Ennio De Biagi (che divenne parlamentare DC nel 1953). La guerra non era ancora finita e dopo la Liberazione si sarebbero create le condizioni per assumersi responsabilità ed impegni personali.

Mi sta a cuore sottolineare il percorso formativo che porta un giovane ad iniziare non dico la carriera politica (quella viene in seguito, grazie alla valorizzazione dei talenti individuali), ma ad affacciarsi ad un impegno frutto di quel contesto storico (primissimo dopoguerra), caratterizzato da solidi valori religiosi ed una rinnovata spinta ideale democratica. Ed ecco, allora, gli studi universitari in Legge, l’impegno nel sindacato unitario CGL Confederazione Generale del Lavoro nella componente cristiana, per un breve periodo segretario della Camera del Lavoro, poi la crescita dell’impegno di base politico che lo porta a Roma per assumere ruoli di collaborazione, dapprima nell’ufficio stampa del Ministro dell’Agricoltura Fanfani, e così via crescendo. A questo punto mi fermo, non intendendo ripercorrere la biografia dell’uomo politico, dell’uomo di partito e delle Istituzioni. Mi sta a cuore quel modello di percorso politico che inizia con un lavoro quasi scolastico, di cui oggi sentiamo un grande bisogno constatandone il vuoto: la Prima Repubblica è fatta da tanti uomini e donne che si sono affacciati all’impegno politico partendo da luoghi di formazione come potevano essere l’AC e suoi circoli cattolici nelle parrocchie, oppure le case del popolo o il sindacato o le cooperative, e la politica non era vista come la carriera o la casta o il lavoro dei senza lavoro, come si è cominciato a rappresentare negli anni ‘90 con i partiti azienda e i movimenti anti-sistema.

Oggi la crisi della politica è in questo snodo: se non recuperiamo il valore dell’impegno politico, la dignità dello spendersi per il bene comune e la valorizzazione di luoghi formativi, siamo destinati all’aridità dei percorsi politici e agli slogan senza pensiero. Dopo l’aspetto formativo di accesso alla politica, l’elemento che mi resta nel ricordo del Presidente Forlani è la sua uscita di scena. Dopo una intensa attività politica e istituzionale, la stagione di Mani Pulite chiude il periodo della cd Prima Repubblica. Scriveva Preziosi nell’articolo prima citato che il rischio è di ricordare il personaggio politico solo attraverso le immagini mediatiche di una udienza processuale. Quella lunga stagione politica sarà la storia a giudicarla, e abbiamo già visto come alcuni approcci hanno poi impoverito e facilitato proposte politiche senza analisi e senza formazione, talvolta persino superficiali.

Arnaldo Forlani vive quella stagione fuori dai fari dell’opinione pubblica, nel 1994 (a 69 anni) non si ricandida in Parlamento, si ritira dalla vita politica attiva senza pentimenti, censure e svelamento di segreti. Paga il suo conto con la giustizia e lascia a ciascuno il giudizio su quella stagione e su quel personale politico. Direi un modo “marchigiano” concreto e rispettoso per uscire dalla scena pubblica dopo una vita politica ad alto livello di responsabilità. Sono certo che Pesaro troverà le modalità consone per rendere omaggio e ricordare il Suo illustre concittadino, con l’accordo di tutte le componenti sociali e politiche proprio per dare un senso storico al ricordo di Arnaldo Forlani, l’uomo che ha improntato la sua vita politica alla moderazione e alla mediazione».

Poi ha preso la parola la consigliera Giulia Marchionni (Prima c’è Pesaro): «Per chi, come me, è nato negli anni in cui Arnaldo Forlani veniva chiamato per la seconda, ed ultima, volta alla guida della DC, non sarebbe stato pensabile essere qui per portare un contributo sul più famoso dei pesaresi dopo Gioachino Rossini, se non avessi avuto tre grandi opportunità per conoscere Arnaldo Forlani. La prima risale ai tempi dell’università, quando ho avuto l’occasione di studiare storia, anche la più recente, del nostro paese; una storia che a tanti, anche giovani, è per lo più oscura ma rispetto alla quale, a mio avviso, non si può prescindere per capire ciò che stiamo vivendo oggi. La seconda occasione di scoprire Arnaldo Forlani, mi e stata data grazie alla possibilità di dialogare con alcuni pesaresi, memoria storica di questa citta, amici di Arnaldo Forlani con i quali in questi mesi ho avuto l’occasione di dialogare. Il terzo elemento che mi permette di prendere la parola oggi senza timore di dire cose fuori contesto, è stata la possibilità di un confronto diretto con un amico, professore, storico della politica che mi ha permesso di avere una visione ampia e direi completa. E allora è facile iniziare con il dire quello che voi avete già detto: Arnaldo Forlani era un politico di un altro tempo con pregi e limiti. Mi permetto una battuta sui “limiti” attraverso un aneddoto che lui stesso ha raccontato e che credo possa anche raccogliere la vostra attenzione: era circa tra il 1973/74 e Arnaldo Forlani si stava recando a salutare il vescovo di Pesaro Monsignor Borromeo ( e l’amministratore apostolico Mons. Michetti) per i consueti auguri di Pasqua e nello scalone dell’episcopio, Forlani incontrò Monsignor Aurelio Ferri un “personaggio particolare” che era stato suo professore al liceo. Trovandosi davanti a Monsignor Ferri, Forlani gli disse: “Monsignore si ricorda di me? Si ricorda di quella volta che quasi mi colpì in classe con il breviario perché non stavo ad ascoltarla?“

E il Ferri con aria secca rispose: “Eh se ti avessi colpito avrei fatto il bene dell’Italia”. Ecco immaginatevelo raccontato dallo stesso Forlani: credo possa ben racchiudere tanto di quello che Arnaldo Forlani è stato anche nel modo di essere ironico e autoironico, una dote necessaria ad ogni buon politico. Vedete, anche parlando dei limiti, si finisce a parlare dei pregi. E continuando sui pregi di quest’uomo che ha lasciato il segno nella storia politica della nostra città , della nostra regione e della nostra nazione, vorrei raccontarvi un episodio di cui io stessa sono stata protagonista la scorsa estate: era fine agosto, ero in piena campagna elettorale, candidata nel listino proporzionale alla camera del collegio Marche (quindi con un territorio da coprire che andava da Pesaro a San Benedetto), nell’andare da Arcevia a Filottrano rimango ostaggio di una piccola disavventura con la macchina e necessariamente rimango ferma per un po’ a Filottrano. Nell’attesa di riprendere l’auto provo a cercare qualcosa da mangiare per evitare (cosa che e capitata spesso) di arrivare la sera senza aver nemmeno pranzato. Ora immaginate un paese per lo più deserto, una sola serranda mezza aperta di una pizzeria, mi affaccio con aria abbastanza invadente, spiego la mia situazione precaria e il proprietario mi spalanca le porte, accende i forni e mi rifocilla. Ovviamente essendo io straniera a Filottrano, c’era dell’evidente curiosità in chi mi aveva accolto e nell’oretta che rimasi ospite lì ovviamente parlammo di politica perché la campagna elettorale la si fa sempre, anche mentre si mangia un trancio di pizza.

E il mio interlocutore, dopo aver saputo che venivo da Pesaro, mi disse: “Ma vede Giulia la verità è che con la DC di Forlani a Roma era tutta un’altra storia per noi marchigiani: le vede le strade qua intorno? Le fece asfaltare tutte lui”. Ecco io credo che in questo racconto, in questa frase, sia un po’ racchiusa la definizione di Forlani che più preferisco: uomo di governo e uomo di partito. L’uomo di governo, che a distanza di anni è ancora ricordato nelle nostre Marche, come la persona illustre che tanto ha fatto anche per i territori i più lontani dalla costa. Uomo di partito che con la DC ha portato le Marche a Roma ed e riuscito a tenere vivo il valore ideale dello scudo crociato nelle Marche anche nei momenti in cui nel resto d’Italia perdeva attrattività. Uomo di governo e uomo di partito. Segretario della DC e membro del governo. Mai insieme. Unica la sua capacità di equilibrio nel riuscire a rispettare il ruolo che in quel momento stava ricoprendo. Due cose mi sono ripromessa di imparare da Arnaldo Forlani: la prima è la sua capacità di sintesi, di fare i Twitter ante litteram, di dare valore alle parole. Come quando parlando della morte di Aldo Moro non esitò a dire che Moro lo avevano voluto morto i nemici della democrazia, raccogliendo in quella frase anche i suoi ex amici. O quando rispetto alla strage di piazza fontana disse chiaramente che fu un tentativo eversivo, un colpo di Stato. La seconda cosa che sto cercando di imparare da Arnaldo Forlani è l per me una delle migliori doti che un politico possa avere: tanto autocontrollo, zero agitazione e una preferenza evidente nel fare arrabbiare gli altri.

Andando verso la conclusione di questo mio breve intervento vorrei condividere con voi le parole che Forlani pronunciò nel febbraio del 1989, appena rieletto segretario politico della DC, parlando di Europa: “A settanta anni dall’appello sturziano ai “liberi e forti” in sintonia con gli altri partiti di ispirazione cristiana, dobbiamo promuovere un nuovo messaggio, una direttrice di marcia che porti i popoli d’Europa a rinsaldare i legami con le comuni radici, e dall’altro ad affrontare i compiti nuovi che la necessità storica impone all’Europa. Di fronte alla crisi che dalla Polonia all’Ungheria, dalla Cecoslovacchia alla Iugoslavia, alla stessa Unione Sovietica, incrina le basi dell’internazionalismo comunista e classista, ed in presenza del rischio che con le nuove ondate migratorie i popoli della nostra Europa vengano attraversati da pericolose tendenze di chiusura nazionalistica, l’ideale federalistico rappresenta, oggi più che mai, la prospettiva vera e la speranza dell’impegno creativo soprattutto per i giovani […]. Ogni passo compiuto verso gli Stati Uniti d’Europa apre orizzonti nuovi per il nostro continente”. Parole pronunciate nel 1989 che oggi possiamo dire essere state capaci si anticipare fatti culturali e politici con precisione oserei dire quasi inquietante».

Dopo di lei Dario Andreolli (Lega): «Ho conosciuto Arnaldo Forlani attraverso le parole della mia famiglia, di mia madre, ma soprattutto di mio nonno che prima, durante e dopo il periodo da sindaco di Piobbico ha condiviso con lui non solo una comune militanza nello stesso partito della Democrazia Cristiana, ma anche una sincera amicizia e una frequentazione al di fuori dello stretto ambito politico. Mi è stato raccontato attraverso piccoli aneddoti come quella volta in cui per sbaglio durante un pranzo gli rovesciarono del vino rosso sulla camicia poche ore prima di un comizio, o delle riunioni della sezione della DC nel salone grande della casa di mio zio dove io ho trascorso i Natali della mia infanzia. Più avanti negli anni ho capito che queste e altre storie semplici, e quasi familiari erano riferiti ad un politico che negli anni ha rivestito quasi tutti i gli incarichi più prestigiosi della nostra Repubblica: quello di Presidente del Consiglio, di Vicepresidente, di Ministro degli Esteri, della Difesa e tanti altri.  Gli è mancato solo quello più alto, della Presidenza, sfuggito per poche decine di voti. Arnaldo è stato un uomo di Stato.
Lo è stato negli anni difficili degli inizi quando ancora si sentiva vivo il ricordo di una guerra devastante.  Quando c’era un paese da ricostruire. Lo è stato negli anni bui del terrorismo e della guerra fredda. Lo è stato negli anni dei grandi cambiamenti. Lo è stato negli anni in cui si iniziavano a costruire le basi di un progetto europeo molto più simile agli ideali di Ventotene che a quelli di oggi. Nonostante tutto, quella politica, quelle forze politiche e quegli uomini politici hanno contribuito a tenere insieme le diversità di questo paese quando non era facile farlo. Hanno contribuito a garantire la pace in Italia ed in Europa, fatto che oggi diamo per scontato ma che allora non lo era. Hanno contribuito alla crescita economica, sociale e culturale di un paese facendolo diventare tra le potenze economie mondiali.

Per questa ragione a mio parere ritengo necessario che dopo trent’anni dalla fine della prima Repubblica ci sia una stagione di analisi storica differente da quella che c’è stata fino ad ora. Lo dico da figlio di una generazione, sono nato nel 1980, che ha incominciato ad interessarsi alla Politica e a votare in anni in cui l’esigenza di cambiamento e di discontinuità, probabilmente necessaria forse doverosa, si è accompagnata per anni alla volontà di cancellare ogni traccia, ad offuscare ogni esperienza ed ogni singolo protagonista. Credo che sia doveroso per la politica contribuire a ricomporre un giudizio storico serio, severo, ma complessivo a 360° su quella storia. Un’analisi attenta, senza sconti, che analizzi certamente gli errori politici e non solo compiuti, ma che sia anche in grado di tracciare il merito ed il valore di quelle scelte in quel contesto storico che hanno contribuito a ricostruire il nostro Paese. E credo che sia doveroso per rendere omaggio e dare valore ai principali protagonisti di quella storia non solo ricordarli attraverso intitolazioni, che sono certamente dovute, doverose, condivisibili, ma anche cercando di contribuire a creare occasioni di dibattito della nostra storia che contribuiscano a creare una memoria condivisa. Una memoria condivisa che non significa certamente avere una stessa opinione su tutto, ma riconoscere che dietro le diversità ci siano uomini che hanno operato convinti di servire il nostro Paese animati da comuni valori alla base della nostra costituzione, della Nazione, Patria, Repubblica. Arnaldo Forlani, è stato un uomo di Stato ed è motivo di orgoglio che sia stato un figlio». Infine Stefano Mariani (Il Faro). «Conobbi Forlani al tempo del Liceo Scientifico, nella sede della DC a Pesaro. In quel breve momento ci confrontammo e mi disse delle parole che non ho mai dimenticato “la politica va fatta pensando”. Forlano lo voglio ricordare così: sarebbe bene che anche oggi la politica, presa dall’onda dell’entusiasmo, riflettesse e valutasse quello che bisogna esprime».

A chiudere Pier Ferdinando Casini, senatore della Repubblica Italiana: «Non è scontato avere un ricordo così attuale di Forlani, politico che ha chiuso la sua vita politica 30 anni fa. I Paesi che non hanno memoria sono destinati a non avere radici, quindi ringrazio il sindaco Ricci, il presidente Perugini e i consiglieri, per aver voluto questo bel momento. Forlani è stato un uomo di parte, ma sempre saputo capire fin dove si doveva fare una politica di parte e dove, invece, era necessario far prevalere la visione e l’interesse generale. La scuola e la gavetta sono state al centro della sua vita, è cresciuto in provincia, ha avuto l’umiltà di imparare e scalare, senza sgomitare e senza arroganza, i gradini del Cursus honorum. La sua formazione cattolica e democratica lo ha spinto fin da subito ad impegnarsi nella sua terra, la sua passione lo ha poi portato ad essere protagonista di una stagione irripetibile della DC. Ha sempre pensato che il suo partito fosse chiamata a servire gli interessi di tutti gli italiani, un partito di centro, conservatore ma riformatore allo stesso tempo, che aveva contribuito alla crescita del Paese, al suo sviluppo economico e al consolidamento in Europa».

Il momento in ricordo di Forlani si è chiuso con una poesia letta da Carlo Pagnini.

All’ordine del giorno anche la surroga del consigliere del gruppo misto di maggioranza Biagiotti scomparso lo scorso agosto. In Consiglio comunale entra Nicoletta Rossi.

 

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