Allarme per la diffusione incontrollata dell’edera: una minaccia per le querce e per gli alberi di alto fusto
Allarme per la diffusione incontrollata dell’edera: una minaccia per le querce e per gli alberi di alto fusto
SENIGALLIA – Il sistema della mezzadria ha sicuramente rappresentato per secoli uno strumento di controllo sociale e di sfruttamento del lavoro contadino, ma ha anche permesso la creazione di quel paesaggio agrario così armonioso e rigoglioso che ha caratterizzato soprattutto le regioni dell’Italia Centrale fino agli anni ’50. la famiglia contadina insediata sul podere garantiva una cura capillare del territorio con la manutenzione degli alberi, dei corsi d’acqua, delle siepi, l’aratura non troppo profonda, la concimazione naturale e quanto altro.
“Tutto è cambiato – si legge in un documento della sezione di Senigallia di Italia Nostra – con la fine della mezzadria e l’affermazione di altre forme di conduzione agricola, che hanno mirato spesso all’ottimizzazione estrema del profitto a scapito del rispetto della natura e del territorio. Una delle conseguenze più evidenti di questa cessazione delle “buone pratiche” è l’abbandono della manutenzione degli alberi lungo i corsi d’acqua e lungo le strade, in particolare delle querce, che costituiscono tuttora uno degli elementi più caratterizzanti e più tradizionali del paesaggio agrario marchigiano.
“Effetto di questa mancanza di manutenzione è l’incontrollata invasione dell’edera, che, non più contenuta dall’intervento dell’uomo, si sta espandendo rapidamente laddove c’è il maggior addensamento di vegetazione, soprattutto lungo i fossi e le strade, nelle macchie e nei boschi, avviluppando e soffocando tutto quello che trova sul suo percorso.
“Al contrario di quello che a volte si crede, l’edera non trae il proprio alimento da tronchi degli alberi, ma dalle proprie radici a terra. Tuttavia come tutti i vegetali ha bisogno di aria e di luce e quindi si aggrappa ad ogni superficie verticale, in questo caso ai tronchi degli alberi, sino a salire ai rami più alti, finendo per avvilupparli completamente, impedendo la fotosintesi clorofilliana fino a soffocare la pianta.
“E’ un processo lento, ma ineluttabile diffusosi in questi decenni a macchia di leopardo un po’ ovunque, visibile soprattutto lungo le strade e lungo i fossi, dove le vittime più illustri sono le querce, compresi gli esemplari più monumentali, Lo si può constatare percorrendo non solo le strade di campagna, ma anche le vie di comunicazione più importanti, come ad esempio l’Arceviese.
“Cosa fare? Certamente il compito di affrontare il problema spetta in primo luogo ai comuni e alla Provincia, che potrebbero provvedervi anche indirettamente attivando il principio di sussidiarietà, individuando nuovi soggetti in grado di sostituire in questa come in altre emergenze la scomparsa del secolare lavoro delle braccia contadine, come il volontariato civile o le imprese ecologiche. Un ruolo potrebbero svolgerlo – conclude la nota di Italia Nostra – anche le associazioni ambientaliste se opportunamente sollecitate e coinvolte, visto che spesso l’Ente pubblico fa fatica a sostenere da solo l’onere della salvaguardia e della manutenzione dell’ambiente naturale”.
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