L’uccisione a Ostra dei partigiani Brutti, Maggini e Galassi nella testimonianza del cappellano militare don Luigi Zio
L’uccisione a Ostra dei partigiani Brutti, Maggini e Galassi nella testimonianza del cappellano militare don Luigi Zio
Il ruolo delle cinque persone uccise l’11 luglio 1944. Due documenti inediti riportano al centro del dibattito la resistenza partigiana a Ostra. Il cascinale dove vennero arrestati i partigiani
di GIANCARLO BARCHIESI*
OSTRA – A Ostra in quest’ultimo periodo sono ritornate attuali le antiche vicende storiche del 1944 legate alle uccisioni nazifasciste dei tre partigiani Brutti Pietro, Maggini Alessandro e Galassi Amedeo del 6 febbraio e a quelle delle cinque presunte spie fasciste Don Nazzareno Pettinelli, Cristanziano Nardi, Armenio Monti, Ligurgo Allegrezza e Fausta Marcellini dell’11 luglio.
Quest’anno, a rendere più visibile la commemorazione delle morti fasciste, ci ha pensato la Signora Vera Maggini, sorella di Alessandro che ha scritto una lettera al Sindaco di Ostra invitando lo stesso a intervenire al riguardo per evitare che anche in futuro possano ancora essere riproposti il ricordo, la preghiera pubblica con altare, bandiere e croce le uccisioni dei cinque fascisti.
A scanso di equivoci si dirà subito che il ricordo dell’11 luglio, come tutti gli Ostrensi conoscono, non ha travalicato il limite della santa messa in basilica e della preghiera con la deposizione di un mazzo di fiori nel sito della fucilazione, segnalato per l’occasione con cinque bandiere Italiane, un altare con croce e un manifestino con i cinque nomi, senza per altro nessuna etichetta di partito. Secondo i promotori, il ricordo iniziato nel 1984 è stato proposto da allora saltuariamente e non ha che fare con la riproposizione del fascismo.
Non si vuole mettere in discussione il grande valore della resistenza partigiana che è stato ed è un punto di riferimento per l’Italia di ieri e di oggi, ma occorre fare chiarezza sulle rispettive responsabilità e riconoscere, come sottolinea anche il sito web stragi nazifasciste, che i tre partigiani non vennero traditi dai cinque fascisti sopra ricordati. Anzi il valore di Brutti- Maggini- Galassi per la libertà è testimoniato da una lettera del Cappellano Militare Don Luigi Zio (nella foto) al fratello di Pietro Brutti, Antonio, che fu testimone della condanna e della morte dei tre partigiani.
Vicenza, 29. 1. 1946
Carissimo Sig. Brutti,
apprendo con piacere che le son giunti i pochi ricordi del fratello: erano poca cosa, ma era tutto quello ch’egli m’aveva consegnato di sua mano pochi istanti prima dell’esecuzione e che avevo cercato di salvare a qualsiasi costo come una sacra reliquia.
Di una sola cosa vi sono ancora debitore e Dio voglia che io possa assolvere anche questo suo ultimo desiderio molto presto: Il caro fratello suo, baciando a lungo dinanzi al plotone d’esecuzione, mi pregava di portare il suo bacio ai bambini ed alla famiglia tutta. – Questo è il debito ch’io devo ancora sciogliere!
I particolari della fine del caro Pietro? Pensavo fossero a vostra piena conoscenza, perché la sua fine coraggiosa è avvenuta in pubblico: ma li ridirò caramente, semplicemente e sinceramente come sono a mia conoscenza.
Ero stato comandato quella domenica a seguire una compagnia di alpini che doveva partecipare ad un rastrellamento in quel di Ostra. Con la compagnia giunsi tranquillamente alla cittadina.
Seppi che erano stati fermati parecchi civili ed un neozelandese e, più tardi, venni a sapere che tre partigiani erano stati condannati a morte. Feci allora -quanto richiedeva il mio compito sacerdotale: chiesi udienza al Questore ed al Console della Milizia, perorai invano un atto di clemenza ed esigetti almeno che ai condannati fosse concessa la presenza d’un sacerdote e i conforti religiosi. Mi fu permesso e mi fu anzi imposto di annunciare io ai tre la sentenza di morte.
Essi erano custoditi rigorosamente da militi in una stanzetta del municipio e tutto s’aspettavano fuorché la condanna a morte.
Inutile dirle quale fosse il mio stato d’animo …. Cercai di dare loro la tremenda notizia come meglio potei e cercai di sorreggerli con le espressioni che partivano dal mio cuore di sacerdote e di italiano.
Il caro Pietro fu quello che con maggior forza d’animo e maggiore serenità apprese la sentenza e fece animo ai due compagni la cui giovinezza tentava ribellarsi ad essere stroncata: momenti di umanità più che comprensibili!
E fu Pietro quello che, concesso alla natura il brevissimo sfogo, chiese a me di confessarlo. Si confessò con animo di fanciullo: mi pare ancora di vederlo, là, nell’angolo della stanza, in piedi di fronte a me, con la destra sulla mia spalla! E, finita la sua breve confessione, egli si rivolse ai compagni e disse: -“Sono stato il vostro capo. Mi avete sempre obbedito. Obbeditemi per l’ultima volta: fate anche voi il vostro dovere di cristiani. Siamo stati uniti nella lotta; fra un’ora dovremo trovarci uniti anche in Paradiso”!
(E non creda, caro Sig. Antonio, ch’io aggiunga una sola parola a quanto egli ha detto; semmai non riporto che quelle che mi hanno più impressionato e sono rimaste e rimarranno scolpite in me).
Finita la confessione degli altri due, ci abbracciammo l’un l’altro fraternamente e sui tre così stretti a me tracciai il segno della più affettuosa benedizione.
E fu in questo atteggiamento che ci sorprese il capomanipolo venuto a prelevarli per l’esecuzione; chiesi mezz’ora di attesa perché potessero scrivere ai propri cari. Egli non era autorizzato, mi disse, alla proroga e dovetti perciò invocarla dal Console, che mi concesse 20 (=venti) minuti d’orologio!
Fu in quei pochi minuti ch’essi poterono scrivere alle famiglie. Se la mia memoria non m’inganna, le tre lettere furono consegnate ai familiari, i giorni seguenti, dai Carabinieri.
Trascorsi i momenti concessi, essi furono condotti dal Municipio alle mura della città: ricorderò per la vita la loro serenità e tranquillità! Andarono, cantando l’inno della Brigata Garibaldina e sereni, in piedi, fronte al plotone, si fermarono al luogo dell’esecuzione.
Pietro per primo baciò a lungo il Crocifisso e quindi abbracciò e baciò me: mi consegnò le poche cose che aveva, mi pregò di mettergli al collo il fazzoletto della Brigata perché dicesse, bagnato del suo sangue, la sua fede e il suo esempio. Così i suoi compagni.
Quando io mi ritirai, essi gridarono assieme “W (=Viva) l’Italia”! e la scarica li abbatteva….
La terra li consegnava al cielo!
Ripresi, dopo d’aver pregato su loro la pace degli eroi, i loro fazzoletti insanguinati e, dovendo assolutamente ripartire, affidai all’Arciprete di Ostra le loro care salme.
Questa, carissimo Sig. Antonio, la storia dolorosa e gloriosa del caro Pietro!
E, mi creda sempre con immutato sentimento il devotissimo suo.
Don Luigi Zio.
Per quanto riguarda le presunte “spie” fasciste riportiamo invece un’altra lettera denunzia del padre di Alessandro Maggini, Romolo, e di Luigi Pirani al Sig. Sindaco del Comune di Ostra: “Io sottoscritto, MAGGINI Romolo, padre del fu Alessandro, fucilato insieme al fu Brutti e al fu Galassi dai fascisti il 6 febbraio 1944.
Dopo lunga indagine fatta insieme, a me e Pirani Luigi, risulta quanto segue: “La sera prima dell’arresto delle suddette vittime C. T., S. E., abitanti nel territorio di Belvedere Ostrense, si presentarono dal colono Fava abitante in Collina dove sapevano di trovarci il Maggini ed il Brutti. Il Brutti appena vide il C. si sorprese con evidenza chiara di aver paura di essere tradito. Il S. appena si accorse di ciò tranquillizzò il B. con queste parole: “non temere questo (indicando il C.) vuol venire con noi; il Brutti si tranquillizzò alquanto pur dubitando della sincerità del C. dato che in una azione fatta a Belvedere Ostrense pochi giorni prima, aveva fatto il delatore sulla azione svolta. Il giorno appresso risulta che il suddetto S. ebbe un nuovo incontro col Brutti ed il Maggini, nel quale ebbe l’ordine di avvisare il Distaccamento di Ostra di spostarsi dove il Brutti ed il Maggini stavano per recarsi e cioè dal colono SCIALANI abitante in Collina alta – territorio di Montecarotto. Il S. presentandosi al Distaccamento non eseguì gli ordini ricevuti, ma riferì di non muoversi da Ostra al suddetto distaccamento. Questo cattivo servizio avvenne il sabato sera 5 febbraio: alla mattina del 6 febbraio incomincia l’azione fascista nel territorio di Ostra, il Brutti ed il Maggini dalla loro casa del suddetto colono poterono vedere come si svolgeva il rastrellamento del nemico. Gli stessi come è naturale stavano tranquilli per le loro vite perché l’azione si svolgeva fuori dalla loro zona; stando certamente in orgasmo per la sorte dei loro compagni. Trascorsa qualche ora – dove il Brutti ed il Maggini – sembravano essere assolutamente al sicuro, si ritiravano in una stanza per discutere sulla nuova situazione, quando improvvisamente si videro piombare tedeschi e fascisti nella loro abitazione, guidati dal riconosciuto C.. Lo stesso, vedendo i coloni terrorizzati, li calmava con queste testuali parole; “state tranquilli che a Voi vi salvo Io, sono stato costretto a fare la spia se no mi uccidevano a me.”.
Il 5 luglio i calzolai G. A. e F. A. ed A. A. andarono a lavorare dal S.; questi operai durante il lavoro intavolarono discussioni con il suddetto S. E. sugli avvenimenti dell’azione Partigiana sapendolo Partigiano. Ad un frangente della discussione il G. gli chiese dove si trovava la mattina del 6 febbraio; il S. rispondeva che quella stessa mattina fu arrestato dai nazi-fascisti e tradotto in Ancona dove rimase per 15 giorni in arresto. Gli operai in (?) gli fecero questa contestazione “come mai ti arrestano e poi ti rilasciarono pur sapendoti Partigiano?” A questa domanda poterono constatare l’imbarazzo evidente, a non saper subito rispondere, poi disse di avere salvato la vita a trenta persone alludendo inoltre indirettamente che il sacrificio di 3 uomini salvò la vita a tutti gli altri. Dalle indagini da me fatte risulta che il S. non fu affatto tradotto in Ancona, fu arrestato SÌ, ma rilasciato entro le 24 ore successive. Risulta che lo stesso dopo questi avvenimenti non prese più parte ad azioni fatte dal Distaccamento Partigiano di Ostra.
Constatato quanto sopra: io sottoscritto Pirani Luigi – Comandante il Gruppo Patriottico locale insieme al parere del padre MAGGINI Romolo genitore del defunto Alessandro, denunciamo all’autorità competente, perché agenti responsabili al servizio del nemico, i suddetti di cui è testo la denuncia: S. E. e C. T., entrambi di Belvedere quali responsabili diretti della cattura e fucilazione conseguente dei 3 Patrioti del Distaccamento di Ostra.
In fede i sottoscritti firmano: 1) PIRANI Luigi fu Nicola. 2) MAGGINI Romolo fu Alessandro. BRUTTI Antonio.
Ostra 29 settembre 1944.
Casa colonica Scialò
La casa colonica, conosciuta con il nome di Scialò, Scialoni, Scialona e Scialone, in verità dovrebbe esser chiamata Casa Cialoni, dal nome della famiglia di mezzadri che per vari decenni, nella collina di Vaccarile, in località Monti della Barbara 4, situata nel territorio di Montecarotto, al confine con Ostra, coltivò il terreno ove si trovava il bellissimo cascinale di Cialò. Nella casa grande abitavano i coloni Luigi e Amelia Cialoni, con i tre figli: Quinto, Armando e Galliano. Nel periodo che a noi interessa la famiglia Cialoni era suddivisa in tre canti: il primo di Quinto che sposò Gina Doninelli con tre figli Anna Silvano e Claudia; il secondo di Armando che sposò Jolanda, in comune Violante, Fenucci con i figli Gianni, Gilberto, Vanda Gianni, Adriana e Luigi; Il terzo di Galliano che sposò Pierina Paccussi con i figli Mafalda, Settimio, Roberto, Rosino, Alvaro e Gabriele. In tutto 22 persone di cui 14 bambini. Arrivati dunque al 6 febbraio 1944, in questa casa vennero arrestati Pietro Brutti, Alessandro Maggini e un capitano neozelandese. Al momento dell’arresto i tre capi famiglia erano assenti perché andati a messa. Prontamente informati di ciò, racconta Mafalda, non fecero ritorno a casa anzi rimasero per un po’ di tempo nascosti. Erano presenti gli anziani genitori, i numerosi figli e le due nuore, Pierina e Jolanda Fenucci, nata a Maiolati il 3 settembre 1911.
Quest’ultima, in una testimonianza rilasciata ai carabinieri di Montecarotto, raccontò così l’accaduto: “Verso le ore 18 del 5 febbraio 1944, si presentavano alla mia abitazione tre civili. Indossavano tutti e tre un fazzoletto rosso legato al collo e tale Brutti Pietro, unico conosciuto fra i tre, anche la camicia rossa. Hanno chiesto e ottenuto da cenare e da dormire. Sono stati accontentati. Durante la sera mi fecero presente che sarebbero dovuti ripartire da un momento all’altro secondo gli ordini che sarebbero stati portati loro da un portaordini, tale Galassi da Ostra. Il portaordini non è arrivato e i tre hanno dormito nella stalla. Il giorno successivo, verso le ore 11, la mia casa è stata circondata da fascisti e tedeschi. Uno tra i primi, in abito civile, ha ricercato il Brutti che ha chiamato per nome “Pietro”. Successivamente sono entrati in casa dei tedeschi che, aperta la porta della stanza dove stavano i tre hanno catturato il Brutti e i suoi due compagni. Non so altro all’infuori che qualche tempo dopo ho appreso che i suddetti erano stati fucilati ad Ostra. Né io né altri della mia casa abbiamo conosciuto alcuni in abito civile che si accompagnavano ai nazi-fascisti. Uno tra costoro, all’angolo esterno della mia casa, l’ho inteso dire rivolto a me stessa: “Sono stato costretto a fare la spia se non avrebbero fucilato me.” “Non l’ho conosciuto e forse non sarei neppure in grado di riconoscerlo vedendo. Non so altro””. Dopo la guerra la famiglia Cialoni continuò a vivere nello stesso posto sino al 9 dicembre 1955, quando i primi due canti si trasferirono vicino Roma, mentre la famiglia di Galliano si trasferì alle Moie di Maiolati Spontini. Oggi il cascinale è diroccato; nelle foto quello che rimane.
*Storico
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