In via San Martino, a Senigallia, venuti alla luce i resti di un quartiere medievale
In via San Martino, a Senigallia, venuti alla luce i resti di un quartiere medievale
Per le sezioni cittadine delle associazioni Italia Nostra e Archeoclub è necessaria un’indagine archeologica completa
di VIRGINIO VILLANI*
SENIGALLIA – I resti di un quartiere medievale sono venuti alla luce durante i lavori di scavo per la posa di sottoservizi in via S. Martino. Si tratta di lungo un muro portante in laterizi allineato all’andamento della strada, di un tratto di pavimentazione stradale in mattoni e di un muro in pietra, di diversa composizione e spessore, disposto ortogonalmente al muro in mattoni, attribuibile ad un’opera di altra natura, forse una fortificazione.
La strada ricade in un’area di particolare interessante dal punto di vista della storia urbanistica della città, un’area di transizione fra la cosiddetta città vecchia, cioè la parte di città romana e medievale abbandonata nel corso del ‘300, e la città nuova raccolta attorno piazza del Duca, dove sorgevano il vescovato e la cattedrale di S. Paolino. Questa città bassomedievale o della decadenza dotata di una modesta cinta di mura non doveva andare oltre via Mastai.
Quando Sigismondo Malatesti verso il 1450 si accinse a ricostruire la città dotandola di una nuova difesa, costretto ad escludere il complesso della cattedrale con il suo quartiere per l’opposizione del vescovo, non gli restò che tracciare una linea ad andamento irregolare sulla diagonale che va dalla Rocca verso il fiume all’altezza di via Pisacane.
Oltre al vescovato restarono fuori anche alcuni borghi, in parte sopravvissuti dall’età antica, in parte ricostruiti in seguito all’immigrazione di nuove famiglie. Uno di questi borghi fu quello detto della porta di S. Martino, con riferimento alla Porta Nuova situata all’altezza di palazzo Marcolini (UBI banca), mentre la chiesa di S. Martino si trovava allora verso via Leopardi.
Nel 1562 Guidubaldo Della Rovere, dovendo costruire la nuova e più ampia cinta poligonale, decise di far abbattere la vecchia chiesa di S. Martino per farla ricostruire entro le nuove mura sul luogo attuale; in quel frangente fece anche demolire parte del borgo in questione per fare spazio alla chiesa, lo fece livellare e vi fece fare sopra una strada che collegasse la chiesa alla nuova porta in piazza Saffi. Questo è il motivo per cui i ruderi scoperti si trovano a così poca profondità.
Non è stato accertato al momento a quale epoca medievale possano risalire questi resti; essendo però allineati all’impianto romano, sicuramente sono fondati su edifici antichi e non dovrebbero essere lontani da una strada urbana. Va ricordato che anche nelle cantine del monastero di S. Martino si conservano resti di una pavimentazione d’età romana e che il luogo non è lontano dall’area archeologica della Fenice.
Ma i dati desunti dall’osservazione superficiale di quanto venuto alla luce sono troppo parziali per dare una seria valutazione scientifica e per avere una conoscenza più ampia e veritiera è necessario continuare l’indagine in profondità, arrivando al livello antico, per mettere in luce la stratigrafia delle sovrapposizioni e scoprire l’identità e la funzione dei manufatti nelle varie fasi edificatorie.
Si potrebbe aprire in questo modo uno squarcio importante sulla storia antica e medievale della città, anche perché in corrispondenza della strada la stratigrafia non è stata sconvolta dalle edificazioni successive al ‘500 e potrebbe conservare integre le testimonianze romano- medievali. Non vogliamo pensare che si possa procedere alla colmatura dello scavo senza un saggio in profondità: si perderebbe un’occasione irripetibile e con essa un importante patrimonio di conoscenze archeologiche.
Esiste una convenzione fra Comune, Soprintendenza e Università di Bologna che autorizza la cosiddetta archeologia preventiva in ogni cantiere pubblico e privato del centro storico per salvaguardare le testimonianze archeologiche. In questo caso si tratta di un intervento pubblico su proprietà pubblica per cui dovrebbe essere più facile attuare il disposto di questa convenzione, tanto più che l’impresa titolare dei lavori, la Multiservizi, proprio per il suo carattere di impresa a partecipazione pubblica dovrebbe tenere in giusta considerazione l’interesse generale della città anche sotto questo profilo.
Quindi Italia Nostra e Archeoclub, ritenendo di interpretare anche le istanze delle altre associazioni che operano nel settore della cultura e dei tanti cittadini che hanno cuore la storia della città, dichiarano del tutto deprecabile che si possa procedere all’interramento prima di poter dare una risposta ai tanti interrogativi che suscita la scoperta. Rivolgono perciò un caldo appello all’Amministrazione Comunale, all’impresa Multiservizi e alla Sovrintendenza perché concordino una soluzione insieme agli archeologi dell’Università di Bologna, nel rispetto degli interessi costituiti, al fine di creare le condizioni per un’indagine archeologica seria e proficua. E auspicano che anche altri cittadini si attivino presso gli enti interessati perché si adotti questa giusta procedura.
*Presidente Associazione Italia Nostra – Senigallia
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