Il saggio di Enzo Carli sulla fotografia tra analogico e digitale sarà presentato a Ostra, Venezia e Senigallia
Il saggio di Enzo Carli sulla fotografia tra analogico e digitale sarà presentato a Ostra, Venezia e Senigallia
Venerdì sera il primo appuntamento, curato dal Movimento Introvisione, nel Palazzo comunale ostrense. Poi altre due presentazioni al Fotoclub La Gondola e nella Biblioteca Antonelliana. L’opera del critico senigalliese affronta le questioni della “rivoluzione fotografica”
OSTRA – Il Movimento Introvisione, a cura di Monica Frulla, curerà venerdì 16 febbraio, alle ore 21, nei locali del Palazzo comunale di Ostra, la presentazione del saggio di Enzo Carli: Il Dagherrotipo mutante- pensieri in libertà sulla fotografia tra analogico e digitale”(Ed.Ideas, Bn 2017). Il saggio sarà poi presentato venerdì 23 febbraio dall’avv. Massimo Stefanutti presso la sede del prestigioso e storico Fotoclub la Gondola di Venezia. Il 9 marzo alle ore 18,00 sarà poi presentato dal prof. Carlo Emanuele Bugatti presso alla Biblioteca del Comune di Senigallia. Lo stesso Bugatti aveva presentato il saggio in anteprima a Roma, Palazzo Madama, il 13 dicembre 2017
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Il saggio affronta le questioni della “rivoluzione fotografica” tra analogico e digitale, tracciando una sintesi sulle le contradizioni storiche delle origini e le successive scelte culturali.
Fotografia analogica e digitale
Da tempo la fotografia cerca di ritrovare un’altra identità soprattutto alla luce dei mutamenti indotti dall’informatica, dalla querelle digitale/analogico e dalle questioni legate all’opportunità di una analisi colta e rigorosa, che fornisca le motivazioni sul metodo e sulla pratica. Quella che da più parti è stata salutata come la rivoluzione digitale ha incrementato la corrente di immagini che vengono continuamente (e compulsivamente) postate sul web, grazie alle continue generazioni di cellulari e di macchine sempre più tecnologiche che nel giro di pochi anni hanno insidiato il primato della definizione analogica. Tra gli estimatori delle fotografie analogiche e digitali si sono verificate in questi anni inutili e sterili polemiche mentre la fotografia sta semplicemente estendendo il proprio dominio interagendo con altre forme espressive. La pretesa di questo testo (con i suoi scritti in libertà) è anche quella di fornire una serie di elementi che indipendentemente dalle pratiche utilizzate, aiutino a comprendere il nuovo percorso della fotografia, che non può prescindere comunque da quella che è stata la grande metamorfosi. A tale proposito è utile attivare un processo di revisione critica e storica culturale che dovrà tener conto dei passaggi di forma e contenuto, di come abbiano inciso nella pratica fotografica i mutamenti generazionali. Una riflessione da parte della fotografia sulla stessa sua natura.
La fotografia digitale è entrata operativamente in scena intorno al 2005 e in circa 12 anni ha rivoluzionato il modo e il mondo del “pensare” fotografico.
Tale cambiamento epocale ha cambiato radicalmente tutte quelle manualità e i tempi che, sino all’avvento del sensore elettronico, erano necessari per produrre un’immagine fotografica.
Il risultato dello scatto in fase di ripresa è immediatamente visibile grazie allo schermo presente sulla fotocamera, aumentando da un lato la tranquillità del fotografo sulla composizione e i corretti parametri di tempo e diaframma e diminuendo, dall’altro, quell’attenzione dei settaggi che prima era basilare e che connotavano forse maggiormente la “figura” del fotografo stesso.
Le immagini ottenute con le macchine digitali di possono trasferire sull’hard drive del computer; le macchine digitali permettono inoltre di registrare video, come webcam.
Grazie al photo editing e un computer le immagini realizzate possono essere fortemente modificate. Si scatta l’istantanea e la si può controllare immediatamente, cancellarla e rifarla o elaborarla in post produzione con un software specifico. Non esiste un rullino e quindi le variazioni in ISO sono automatiche o le si decide di volta in volta posizionando il cursore sulla sensibilità voluta.
In pellicola esistono dei tempi incomprimibili, tempi che riguardano lo sviluppo del negativo e la fase di stampa, passaggi che sono stati letteralmente cancellati con l’avvento del digitale dove un’immagine è praticamente pronta subito, a parte i pochi minuti dell’uscita del foglio dalla stampante. Il digitale non ha un supporto fisico, il negativo non esiste (così come nel Dagherrotipo) e l’unica traccia è il file. Non sono quindi richiesti spazi destinati all’archiviazione se non dischi rigidi residenti su computers o memorie di massa. L’avvento del digitale ha portato parallelamente allo sviluppo di software dedicati sia alla elaborazione del file in formato grezzo (raw), sia alla postproduzione.
Tornando alla differenza tra queste due correnti, è fondamentale essere coscienti che esse hanno per forza un approccio diverso. La fotografia analogica necessita, oltre che di una preparazione tecnica e compositiva, anche di nozioni che riguardano la chimica e le metodiche di sviluppo e stampa, mentre l’approccio digitale non può non comportare la conoscenza della gestione dei files, dei metadati, del recupero dell’esposizione e della elaborazione del file grezzo, che va dalla taratura del punto di bianco alle altre regolazioni quali nitidezza, saturazione, compensazione eccetera.
Un altro vantaggio dell’immagine digitale è la cosiddetta geolocalizzazione, per le fotocamere dotate di strumento GPS (Global Positioning System). Con questa peculiarità, l’immagine ripresa ha nel suo corredo anche la latidudine, la longitudine e l’altezza. Questi dati rivestono un ruolo assai importante per il reportage giornalistico, poiché “testimoniano” l’effettiva presenza del fotografo in quella data posizione.
L’opportunità della trasmissione dell’immagine attraverso la rete o via satellite, collegando direttamente la fotocamera a un computer dotato di collegamento in rete o con telefono satellitare è un impiego assai sfruttato nelle zone impervie o teatri di guerra.
La fotografia digitale le sue potenzialità e il ruolo del fotografo digitale o come lo chiama Carli, il digitografo
La fotografia digitale (elettronica) o la fotografia analogica (meccanica) sono due procedimenti differenti di percepire e pensare l’immagine. Spesso i due sistemi confluiscono in un solo fine. Una miriade di persone, in linea con le nuove tecnologie, fa uso quotidiano dell’immagine digitale (dal latino digitus, dito) per vari motivi. E facile, non occorre possedere la pratica e la conoscenza specifica che era richiesta al fotografo tradizionale, le nuove fotocamere digitali hanno centinaia di programmi che fanno e sanno fare di tutto; sono in sintesi dei self media portatili, piccoli universi trasmittenti e riceventi. Ogni cellulare è dotato di fotocamera con il quale milioni di persone con una sorta di frenesia compulsiva aspirano a catturare l’immagine che interessa, quella porzione di realtà percepita quali ritratti, paesaggi (in prevalenza albe e tramonti, inizio e fine della luce), cibi e vivande, fotografie di gruppi che riguardano intrattenimento o eventi sociali.
Questa rivoluzione digitale che ha mutato il modo di pensare alla fotografia e di comunicare per immagini chiama in causa studiosi, critici, sociologi, filosofi, psicologi, giuristi e sta provocando anche grazie l’immediatezza nella diffusione dell’immagine, un mutamento nel vedere di portata universale. Si modifica il ruolo e la funzione di chi scatta in digitale(che potrebbe chiamarsi digitografo) in quanto vengono a meno tutti quei requisiti tecnici richiesti in precedenza al fotografo tradizionale.
Già in “Understanding Media” (1964), McLuhan scriveva: “Oggi, dopo più di un secolo di tecnologia elettrica, abbiamo esteso il nostro sistema nervoso centrale fino a farlo diventare un abbraccio globale, abolendo limiti di spazio e tempo per quanto concerne il nostro pianeta. La rivoluzione in atto non è nella democratizzazione dell’immagine semmai la convinzione che fatto che la tecnologia elettronica sia diventata un’estensione dei nostri sensi, particolarmente la vista e l’udito”. Chi scatta di solito è attratto anche da tutto quello che può archiviare; vede la realtà attraverso l’ occhio della macchina digitale che con il suo comportamento automatico diviene il prolungamento, l’arto del fotografo.
E’ la macchina a decidere cosa scattare e per alimentarsi, fagocitare la realtà, generando la corrente continua delle immagini. Il mezzo digitale è un incredibile facilitatore di immagini.
Tra gli estimatori delle fotografie analogiche e digitali si sono verificate in questi anni inutili e sterili polemiche mentre la fotografia sta semplicemente estendendo il proprio dominio interagendo con altre forme espressive. La pretesa del saggio è anche quella di fornire una serie di elementi che indipendentemente dalle pratiche utilizzate, aiutino a comprendere il nuovo percorso della fotografia, che non può prescindere comunque da quella che è stata la grande metamorfosi del secolo scorso. In sintesi di un processo di revisione critica e storica culturale che dovrà tener conto dei passaggi di forma e contenuto, di come abbiano inciso nella pratica fotografica i mutamenti generazionali.
Quindi l’Autore ha attivato un processo di sintesi sulla storia della fotografia…
Il libro affronta anche in chiave storica le maggiori contraddizioni della fotografia attraverso un’analisi ragionata. Una sorta di dualismo, due facce della stessa medaglia, meglio una doppia identità, come nella sua storia e così nella cultura dove la fotografia per tanto tempo si è addossata gli errori generazionali dell’Accademia e di critici poco avveduti. E’ una storia recente di intrighi, di rancori, di personalismi, di mercato e di business. Ando Gilardi in “Storia sociale della fotografia , Feltrinelli, Milano 1976 scrive: ”Vecchie e nuove le storie fotografiche non sono concordi nella valutazione dei fatti, dei progressi e conseguenza delle invenzioni ma soprattutto sui meriti dei personaggi che oggi volentieri si chiamano i pionieri o gli “eroi” dell’immagine ottica.”
La storia recente della fotografia è piena di aforismi che hanno tracciato direzioni di ricerca anche creato condizioni di grande confusione tecnica ed estetica. Si assiste ad un atteggiamento di massa per il quale tutti vogliono apparire e raccontare con immagini la loro vita o la loro quotidianità come riflesso visivo della loro esistenza, una sfida contro il passaggio del tempo, un modo per prolungare la vita e lasciare una testimonianza del proprio passaggio. Tutto ciò rende necessario distinguere tra quelle che sono esperienze importanti che si confrontano con il vissuto quotidiano, lo registrano, lo personalizzano, conferendogli dei significati in linea con i nuovi percorsi di ricerca, con quelle che sono situazioni modaiole e ripetitive che intendono innalzare a chissà quale verità le istantanee che si perderebbero nell’immensa corrente delle immagini.
Tanto più che oggi si fanno vedere e condividere le proprie scelte e le proprie storie in un archivio non che non è più segretato ma aperto al web, per condividere emozioni e provocare reazioni, in cui la centralità dell’immagine è l’espressione del proprio momento decisivo.
“A cosa serve una grande profondità di campo se non c’è un’adeguata profondità di sentimento?” (Eugene Smith). E a proposito di software che permettono di modificare la realtà dell’immagine Mario Giacomelli sosteneva in tempi non sospetti e non digitali che :”Odio le immagini che rimangono così come la macchina le vede. Riprendere un soggetto senza però modificare niente è come aver sprecato tempo”.
Il saggio si concentra brevemente sulle scelte estetiche e culturali della fotografia…
La composizione e le regole di base della fotografia, la sua cultura recente valgono sia per il digitale sia per l’analogico. In questo incerto passaggio epocale, oggi caratterizzato da un’interazione continua di mutevoli significati sulla nostra esistenza, la fotografia ha una sua parte di “rabbia”. Le forme neo-espressive di questa società sono legate all’immagine, supportata da tecnologie veloci che non possono che prescindere da un concetto dinamico di cultura, traducibile in altre opportunità nel rendere distinguibili il reale e l’immaginario.
Per considerare la fotografia un’arte corrispondente alle esigenze del tempo, l’Autore annovera alcune esperienze significative realizzate nella prima metà del secolo scorso che hanno caratterizzato il nuovo filone fotografico della ricerca sociale e artistica. Essa si applica per ricercare e sperimentare nuovi linguaggi e forme del comunicare che vanno dal reportage allo still life; dalla pubblicità alla moda; dall’architettura al ritratto. Carli ripercorre brevemente i movimenti e i grandi Autori che hanno contribuito ad innalzare la fotografia come il miglior strumento di rappresentazione in una società moderna sostenendo che le arterie su cui scorre la fotografia sono alimentate dall’insieme di modi di essere che si rifanno alla “cultura spirituale” e dai modi di fare della “cultura materiale”.
Un’occhiata infine alla critica fotografica: sii può criticare la critica? Il giornalista di Repubblica, Michele Smargiassi scrive: Per ripetere che a mio avviso la critica fotografica corrente in Italia (dove di fatto una critica specificamente fotografica quasi non esiste), quella che si legge sulle riviste di settore, sui siti Web di recensioni, nei cataloghi delle mostre, sia troppo spesso autoreferenziale, poco interessante, oscura ..
La critica fotografica, quella di “altura” è quasi sempre in stretta simbiosi con la grande industria fotografica e editoriale che ha sfornato anche falsi profeti o con le Istituzioni che hanno nutrito in fotografia, raffazzonati critici , patrocinatori e saggisti spesso non tenendo in considerazione che la maggior parte dei grandi Fotografi sono stati esperti del pensiero critico. Nel Manifesto Passaggio di Frontiera (1995) i fotografi che lo hanno sottoscritto convengono: “Recuperiamo identità alla critica fotografica, spesso lasciata nell’indifferenza del pubblico. Il critico è un nostro simile, per pratica ed estrazione culturale, che si fa promotore ed interprete delle motivazioni e delle decisioni del fotografo”.
Il teorico e fotografo Giuseppe Cavalli sosteneva che per innalzare la fotografia alla dignità di arte (vera opera di rinnovamento che vede coinvolti e impegnati i fotografi che hanno costituito il gruppo La Bussola nel ’47) è fondamentale operare in due direzioni: “La prima consiste nell’incentivare una sempre più larga e profonda educazione al buon gusto fotografica; la seconda nel promuovere lo sviluppo di una critica colta, provveduta e severa.
Nelle foto: la copertina del saggio e, in alto, l’autore, professor Enzo Carli insieme al Maestro Mario Giacomelli
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