AREA MISACRONACAIN PRIMO PIANO

Si torna a parlare di Sibilla, un progetto che rischia di compromettere cittadini, luoghi e il mare Adriatico

Si torna a parlare di Sibilla, un progetto che rischia di compromettere cittadini, luoghi e il mare Adriatico

di LEONARDO BADIOLI*

SENIGALLIA – Vogliamo tornare a parlare di Sibilla, ma lo faremo sottovoce per non disturbare.

Come forse ricorderete, tre anni fa il Comitato ad hoc “No Sibilla” e il concorso di circa mille persone che misero la loro firma inviammo alle autorità regionali e statali un appello per fermare questo progetto di stoccaggio di CO2 sotto il mare prospiciente la costa senigalliese. I circa mille “No Sibilla” erano mossi da due motivi, uno strategico e uno circostanziale.

Quello strategico trovava conferma nella considerazione che fossero altri i provvedimenti capaci di ridurre le emissioni climalteranti che non quello di infilare i gas in un recevoir sotto il mare.

Quello circostanziale riguardava il fatto che il progetto definiva l’area prescelta “a sismicità scarsa o nulla” a fronte della sismicità storicamente confermata della costa adriatica tra Rimini e Ancona.

Le firme, consegnate alle autorità regionali e prefettizie, non ebbero esito; ma la raccolta riuscì almeno a informare i cittadini di quanto si stava preparando, dopo che la stessa amministrazione comunale aveva alzato le mani di fronte a necessità superiori.

Torniamo ora a parlare di Sibilla perché nel frattempo sono pervenute a sistema le nuove strategie e anche col beneficio di un migliore approfondimento di quanto concerne lo stoccaggio e il luogo che lo dovrebbe accogliere.  Sottovoce, dico, perché al momento il progetto è dormiente, o almeno sembra esserlo, e la stessa società proponente (Independent gas magagemet, satellitare di Independent Energy Solution ), è svanita nel nulla, probabilmente per avere esaurito il suo compito di preparazione. Né siano preoccupati gli operatori turistici, i quali anzi dovrebbero essere tra i primi interessati a riprendere il discorso: Sibilla è ancora sulla carta e qui si tratta, nell’interesse di tutti, di scongiurarne la realizzazione. I tempi sono quelli che vanno dal 2011 ad oggi, ma per Sibilla non sono ancora compiuti.

Ripercorriamoli.

Progetti di CCS erano stati avanzati, e otto nel mondo realizzati, tra i quali Utsira, in Norvegia, a fine primo decennio del duemila; ma già allora l’efficacia sia strategica che tecnica dello stoccaggio di CO2 veniva messa in discussione in ambienti scientifici (1) e in quelli del migliore volontariato socio-ecologista (2). Per parte sua, l’Unione Europea aveva varato un European Energy Programme for Recovery (EEPR) nell’ambito del quale erano previsti stoccaggi che per qualche tempo avevano stentato a trovare soggetti interessati (3).

Sibilla, unico progetto CCS dotato di stoccaggio in Italia, ha appunto la data iniziale del 2011; la raccolta di firme per bloccarlo intervenne quando, a fine 2014, il progetto aveva appena concluso la prima fase, quella dell’acquisizione del permesso di esplorazione.

Nel dicembre 2015 la Conferenza sul Clima di Parigi si concluse con un accordo – ribadito poi l’anno scorso in quella di Marrakesh (Cop 22) – a favore di un programma chiamato BECCS (Bio-Energy with Carbon Capture & Storage) per una riforestazione forzata e stoccaggio di anidride carbonica.

Da quel momento, dunque, la raccolta di firme non riguardava più soltanto il rifiuto di un progetto sostenuto dalla UE che ritenevamo illusorio e pericoloso, ma acquistava il significato di una ricusazione della via prevalsa in ambito internazionale in quanto false hope rispetto all’obiettivo di ridurre il riscaldamento del pianeta.

Trattandosi ora di questioni di portata planetaria che trascendono per dimensione i limiti circostanziali di un progetto localmente delimitato, ci limiteremo a lasciare in nota alcuni riferimenti come indice mnemonico.

Ci rivolgiamo invece all’interesse dei quasi mille firmatari e di ogni altro direttamente interessato sul versante della inopportuna localizzazione; e con questo torniamo a chiederci come abbia potuto la società proponente Sibilla assicurare (e gli istituti pubblici Stato e Regione confermare) che l’area in cui dovrebbe insistere un enorme giacimento ipomarino sia caratterizzata da “sismicità scarsa o nulla” (4). Per quanto l’area prevista per 240 kmq attorno al pozzo abbandonato “Cornelia” si trovi ai margini della fascia colorata per maggiore sismicità, vengono ignorati i contesti di possibili effetti di perturbazione del recevoir o per terremoto indotto, o per terremoto innescato. Inoltre, il progetto non fa menzione dell’esistenza in prossimità dell’area di una faglia che studi recenti hanno classificato come “sismogena” rispetto al terremoto che scosse Senigallia nel 1930. Un fatto singolare è che questo disconoscimento avviene proprio in un periodo in cui quel terremoto comincia ad essere studiato in modo sistematico, ancorché retrospettivo, come modello tipico per la microzonazione sismica della costa medioadriatica. Tali studi si sono susseguiti a partire dal 1995 (5).

Ecco perché torniamo a proporre, in questa dormiveglia di Sibilla, che i decisori pubblici rivedano i fondamenti conoscitivi e le licenze autorizzative, assegnate e da assegnare, proprio in riferimento al dato sismologico. L’invito è quindi quello di una presa d’atto: un grande recevoir come quello che è in corso di definitiva approvazione non può ignorare il pericolo a cui la sua realizzazione esporrebbe i luoghi e gli abitanti che per prossimità ne fossero coinvolti.

*Esponente del Comitato “No Sibilla”, Senigallia

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(1)  Mark Zoback e Steven Gorelich, Stanford University, California, Earthquake triggering and large scale geologic storage of carbon dioxide,  21 marzo 2012

“Malgrado i costi elevatissimi, la cattura e stoccaggio di CO2 è considerata una strategia praticabile per ridurre in modo significativo le emissioni connesse con la generazione di energia elettrica a carbone e con altre sorgenti che le producono. Qui noi intendiamo dimostrare che esiste un’alta probabilità che possano essere innescati terremoti attraverso l’iniezione di grandi quantità di CO2 nelle rocce friabili che sio trovano comunemente nel sottosuolo. Dal momento che anche piccole scorsse e terremoti di moderate dimensioni possono minacciare l’integrità della tenuta dei depositi, il CCS è da considerarsi rischioso, o probabilmente incapace di ottenere i risultati che cerca una strategia che vuole ridurre in modo significativo la presenza di gas serra.”

National Research Council NRC, USA, Induced seismicity potential in energy technologies, Scientific American, 15 giugno 2012.

“Già un rapporto dello United States Geological Survey aveva segnalato come la reiniezione di fluidi di scarto dalle operazioni di fracking possa causare terremoti. Il NRC va oltre e afferma che anche le trivellazioni di gas e petrolio convenzionali possono portare a fenomeni sismici, non solo lievi. Il rapporto compila con certosina pazienza tutti i casi in cui a parere dell’NRC sono da considerarsi terremoti indotti dall’estrazione di energia o di altro materiale dal sottosuolo: petrolio, gas, geotermia, acqua, sia con metodom tradizionale che con quelli cosiddetti non-convenzionali. Il rapporto non stima la possibilità che questi terremoti accadano in futuro, ma si limita ad elencare quelli osservati e che possonbo essere attribuiti cvon buona probab ilità all’uomo. Uno degli autori dello studio, Murray Hitzman, della Colorado School of Mines, afferma che le tecniche peggiori sono quelle che portano forti squilibri come il sequestro di anidride carbonica e l’iniezione di acqua di scarto nei pozzi dismessi, che sono pericolosi perché tendono ad aumentare le pressioni sotterranee su aree molto vaste, con maggiori pericoli di disturbo delle faglie, e quindi della possibilità di causare terremoti. Hitzman conclude che non esistono metodi ottimali per minimizzare i rischi per nessuna delle tecnologie utilizzate”.

Van der Elst, Savage, Keranen, Abers, Enhanced remote Earthquake triggering at fluid-injection sites in the Midwestern United States, Science, 12 luglio 2012

“Il recente drammatico aumento dei fenomeni sismici nel Midwest degli Stati Uniti può essere messo in relazione con l’intensificazione di iniezione di acque reflue in profondità. Qui noi dimostriamo che aree caratterizzate da terremoti di sospetta origine antropica sono più suscettibili di altre di innescare terremoti da stress transitori naturali generati dalle onde sismiche di forti terremoti a distanza.

Questa aumentata suscettibilità indica la presenza di guasti dovuti a forte appesantimento e di potenziali alte pressioni del fluido. La sensibilità all’attivazione a distanza può essere osservata molto chiaramente in siti con un lungo ritardo tra l’inizio dell’iniezione e l’insorgenza di sismicità. L’attivazione in zone sismiche indotte potrebbe quindi essere un indicatore del fatto che l’iniezione di fluido ha portato il sistema di faglie a uno stato critico.”

Juanes, Hager, Herzoig, MIT, No geologic evidencethat seismicity causes fault leakage that would rebder large-scale carbon capture and storage unsuccessful, Proceedings of the National Academy of Sciences 109, n. 52, dicembre 2012.

“La gran parte dei terremoti ha ipocentri molto più profondi dei reservoirs in cui la CO2 viene stoccata. Reservoirs di CO2 liquida sono esistiti da milioni di anni in regioni caratterizzate da un’intensa attività sismica. Scegliere bene il luogo è importante”. Lo studio smentisce Zobach e Gorelik: il fatto che serbatoi superficiali di CO2 in sovrapressione coesistano con basamenti profondi sismici non li autorizza a dire che lo stoccaggio non avrà successo. E’ necessario studiare bene il contesto fisico del CCS.

Jossy Cohen, MIT, 26 gennaio 2015

Da quando sono apparse le prime ricerche sulla tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2, il cosiddetto “clean coal” ha rappresentato per molti una sorta di panacea ai problemi legati alle centrali elettriche a carbone. Oggi tuttavia il MIT avverte: lo stoccaggio del carbonio non è così efficiente come si era pensato fino ad oggi. Le attuali tecniche di sequestro geologici mirano a iniettare il biossido di carbonio nel sottosuolo a circa 7.000 metri sotto la superficie terrestre; a tali profondità, l’anidride viene conservata in profondi falde saline, grandi sacche di salamoia che possono reagire chimicamente con questo gas, solidificandolo. Gli scienziati del celebre ateneo hanno analizzato i dati presentati dall’EPA statunitense, l’agenzia di protezione ambientale, secondo cui le tecnologie di CCS attuali permetterebbero di eliminare dall’atmosfera fino al 90 per cento delle emissioni di CO2 delle centrali elettriche a carbone.  Ma sebbene questi processi riescano effettivamente a rimuovere con efficacia le emissioni, non con altrettanto efficacia possono assicurare il loro sequestro a lungo termine. I ricercatori del Dipartimento della Terra e delle Scienze Planetarie del MIT hanno scoperto, infatti, che una volta iniettata nel terreno, la percentuale di anidride carbonica trasformata in sedimento roccioso è molto minore di quanto fino a ieri calcolato. “La parte che si trasforma in pietra, è stabile e rimarrà lì definitivamente”, spiega lo scienziato Yossi Cohen; “tuttavia, la percentuale presente in fase gassosa o liquida, rimane in grado di muoversi e può eventualmente tornare in superficie e quindi nell’atmosfera”. I ricercatori ci tengono comunque a sottolineare che le loro predizioni teoriche richiedano ora uno studio sperimentale per determinare la grandezza dell’effetto sopra citato. “Gli esperimenti potrebbero aiutare a determinare il tipo di roccia in grado di minimizzare questo fenomeno”, afferma Cohen. “Ci sono molti fattori, come la porosità e la connettività tra i pori nelle rocce, capaci di determinare il ‘se’ e il ‘quando’ del processo di mineralizzazione del biossido di carbonio”.

Anna Kutchment, Drilling for earthquakes, versione italiana Trivelle e terremoti. , Le scienze, 6 settembre 2016

Gli scienziati sono sempre più convinti del legame tra terremoti e trivellazioni, ma le autorità sono tarde a reagire.

(2) False Hope: Why carbon capture and storage won’t save the climate (Maggio 2008), in  www.greenpeace.org/ccs.

(3) Nella lotta contro i cambiamenti climatici avviata dall’Unione europea, il ruolo giocato dai sistemi CCS non è certo marginale. Tutt’altro. L’Ue, infatti, dimostra di credere nelle potenzialità offerte dalla tecnologia di stoccaggio e cattura della CO2: per questo l’ha fatta entrare tra quelle individuate come prioritarie dallo Strategic Energy Technology (SET) Plan della Commissione europea, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica del Programma EU 2020. Per portare avanti lo sviluppo del comparto è inoltre attiva dal 2005 Zero emission platform, una coalizione unica di soggetti uniti in sostegno alla CCS, che ha assunto il ruolo di consulente della Commissione europea sulla ricerca, dimostrazione e diffusione delle tecnologie specifiche. A livello di progetti, l’Ue ha anche avviato nel 2011 Ner 300 è uno dei programmi più importante al mondo per la dimostrazione di tecnologie innovative riguardo l’energia rinnovabile e la CCS. Il programma NER 300 è stato creato per finanziare almeno otto progetti per CCS, oltre a 34 dedicati alle energie rinnovabili, stanziando 4,5 miliardi di euro.

(4) Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Commissione tecnica di verifica dellp’Impatto Ambientale – VIA e VAS. Parere n.1127 del 14 dicembre 2012.

“Nella mappa della Pericolosità sismica del territorio italiano compare la zona 917 a NE della quale è localizzato il complesso di stoccaggio Cornelia e alla zona 917 corrispondono i seguenti parametri:

– magnitudo massima degli eventi (catalogo strumentale INGV 1983-2002): 4,9 Md [magnitudo di durata: mica poco, si avverte strumentalemnte in tutto il mondo];

– classe di profondità 5-8 km.;

– profondità efficace: 7 km.;

A tale zona appartengono anche la sorgente composita “ITCS008: Conero onshore”, che insieme alle sorgenti composite contigue “ITCS032/ITCS032_Fold 94: Mondolfo” e “ITCS 032: Pesaro-Senigallia” costituisce parte di quello che informalmente va sotto il nome di “Trend  Costiero”;

Non è conosciuta nessuna sorgente sismogenetica individuale, né alcuna sorgente composita in corrispondenza della struttura di Cornelia; a Cornelia non c’è evidenza di movimenti recenti che dislocano sedimenti recenti o il fondo del mare, come invece succede in corrispondenza della sorgente composita “ITCS008 Conero onshore”.

In base a questi dati raccolti il proponente afferma che la struttura di Cornelia non è interessata da faglie con apprezzabile carattere sismogenetico.

(5) Favalli, Frugoni, Monna, Rainone, Signanini, Smriglio, The 1930 earthquake and the town of Senigallia, novembre 1995.

“La citta di Senigallia è un’area interessata da sismicità offshore. La città fu quasi completamente distrutta nell’ottobre 1930 da un terremoto del IX grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg e di intensità 5,9 della scala Richter”. Gli studi su quell’evento sono ripresi con notevole abbondanza in relazione alla valuazione del rischio sismico nell’area costriera del medio Adriatico, dunque per l’assetto urnbano, ma non trascurano l’eziologia del sisma, che riguarda la sismogenesi ipocentrica situata in mare.

Mucciarelli, M. e Tiberi P. (a cura di), Scenari di pericolosità sismica della fascia costiera marchigiana / la microzonazione sismica di Senigallia,  per Regione Marche e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Gislab Urbino, 2012.

Vannoli, Vannucci, Bernardi, Palombo, Ferrari, The source of the 30 october 1930 Senigallia earthquake, 2015

“Questa zona costiera –  un lungo tratto di 40 km della costa adriatica tra Pesaro e Ancona – è caratterizzata da terremoti relativamente infrequenti e moderati e da faglie dall’attività non ben definibile (elusive active faults). Nonostante siano ben note le sequenze nordoves-sudest e le pieghe di propagazione vertebrali a nord-est che formano le spinte esterne degli Appennini, l’attuale livello di attività e la cinematica di queste strutture costiere sono ancora controverse”.

Sequenza sismica in Adriatico: storia e faglie attive (parte 1)

“La conoscenza delle faglie attive nel settore dell’off-shore adriatico si basa soprattutto sull’esplorazione sismica effettuata negli ultimi decenni per ricerche di idrocarburi. L’interpretazione delle linee sismiche ha mostrato l’esistenza di diversi fronti compressivi sepolti, analoghi in qualche modo a quelli della pianura padana.  Si tratta di strutture a carattere compressivo o trascorrente, come anche testimoniato dai (pochi) meccanismi focali dei terremoti recenti (per quelli antichi non esistevano dati per determinarli). Secondo i modelli geologici prevalenti questi fronti geologici sepolti sono attivi e orientati parallelamente alla costa, e sarebbero frammentati da faglie trascorrenti (ossia con spostamento laterale di un settore rispetto a quello adiacente) perpendicolari ai fronti stessi. Si veda il Database delle Sorgenti Sismogenetiche Italiane (DISS) per dettagli sulle faglie attive nella regione.

Si torna a parlare di Sibilla, un progetto che rischia di compromettere cittadini e luoghi di LEONARDO BADIOLI* SENIGALLIA - Vogliamo tornare a parlare di Sibilla, ma lo faremo sottovoce per non disturbare. Come forse ricorderete, tre anni fa il Comitato ad hoc “No Sibilla” e il concorso di circa mille persone che misero la loro firma inviammo alle autorità regionali e statali un appello per fermare questo progetto di stoccaggio di CO2 sotto il mare prospiciente la costa senigalliese. I circa mille “No Sibilla” erano mossi da due motivi, uno strategico e uno circostanziale. Quello strategico trovava conferma nella considerazione che fossero altri i provvedimenti capaci di ridurre le emissioni climalteranti che non quello di infilare i gas in un recevoir sotto il mare. Quello circostanziale riguardava il fatto che il progetto definiva l'area prescelta “a sismicità scarsa o nulla” a fronte della sismicità storicamente confermata della costa adriatica tra Rimini e Ancona. Le firme, consegnate alle autorità regionali e prefettizie, non ebbero esito; ma la raccolta riuscì almeno a informare i cittadini di quanto si stava preparando, dopo che la stessa amministrazione comunale aveva alzato le mani di fronte a necessità superiori. Torniamo ora a parlare di Sibilla perché nel frattempo sono pervenute a sistema le nuove strategie e anche col beneficio di un migliore approfondimento di quanto concerne lo stoccaggio e il luogo che lo dovrebbe accogliere. Sottovoce, dico, perché al momento il progetto è dormiente, o almeno sembra esserlo, e la stessa società proponente (Independent Energy Solution s.r.l., società di una sola persona), è svanita nel nulla, probabilmente per avere esaurito il suo compito di preparazione. Né siano preoccupati gli operatori turistici, i quali anzi dovrebbero essere tra i primi interessati a riprendere il discorso: Sibilla è ancora sulla carta e qui si tratta, nell'interesse di tutti, di scongiurarne la realizzazione. I tempi sono quelli che vanno dal 2011 ad oggi, ma per Sibilla non sono ancora compiuti. Ripercorriamoli. Progetti di CCS erano stati avanzati, e otto nel mondo realizzati, tra i quali Utsira, in Norvegia, a fine primo decennio del duemila; ma già allora l'efficacia sia strategica che tecnica dello stoccaggio di CO2 veniva messa in discussione in ambienti scientifici (1) e in quelli del migliore volontariato socio-ecologista (2). Per parte sua, l'Unione Europea aveva varato un European Energy Programme for Recovery (EEPR) nell'ambito del quale erano previsti stoccaggi che per qualche tempo avevano stentato a trovare soggetti interessati (3). Sibilla, unico progetto CCS dotato di stoccaggio in Italia, ha appunto la data iniziale del 2011; la raccolta di firme per bloccarlo intervenne quando, a fine 2014, il progetto aveva appena concluso la prima fase, quella dell'acquisizione del permesso di esplorazione. Nel dicembre 2015 la Conferenza sul Clima di Parigi si concluse con un accordo – ribadito poi l'anno scorso in quella di Marrakesh (Cop 22) - a favore di un programma chiamato BECCS (Bio-Energy with Carbon Capture & Storage) per una riforestazione forzata e stoccaggio di anidride carbonica. Da quel momento, dunque, la raccolta di firme non riguardava più soltanto il rifiuto di un progetto sostenuto dalla UE che ritenevamo illusorio e pericoloso, ma acquistava il significato di una ricusazione della via prevalsa in ambito internazionale in quanto false hope rispetto all'obiettivo di ridurre il riscaldamento del pianeta. Trattandosi ora di questioni di portata planetaria che trascendono per dimensione i limiti circostanziali di un progetto localmente delimitato, ci limiteremo a lasciare in nota alcuni riferimenti come indice mnemonico. Ci rivolgiamo invece all'interesse dei quasi mille firmatari e di ogni altro direttamente interessato sul versante della inopportuna localizzazione; e con questo torniamo a chiederci come abbia potuto la società proponente Sibilla assicurare (e gli istituti pubblici Stato e Regione confermare) che l'area in cui dovrebbe insistere un enorme giacimento ipomarino sia caratterizzata da “sismicità scarsa o nulla” (4). Per quanto l'area prevista per 240 kmq attorno al pozzo abbandonato “Cornelia” si trovi ai margini della fascia colorata per maggiore sismicità, vengono ignorati i contesti di possibili effetti di perturbazione del recevoir o per terremoto indotto, o per terremoto innescato. Inoltre, il progetto non fa menzione dell'esistenza in prossimità dell'area di una faglia che studi recenti hanno classificato come “sismogena” rispetto al terremoto che scosse Senigallia nel 1930. Un fatto singolare è che questo disconoscimento avviene proprio in un periodo in cui quel terremoto comincia ad essere studiato in modo sistematico, ancorché retrospettivo, come modello tipico per la microzonazione sismica della costa medioadriatica. Tali studi si sono susseguiti a partire dal 1995 (5). Ecco perché torniamo a proporre, in questa dormiveglia di Sibilla, che i decisori pubblici rivedano i fondamenti conoscitivi e le licenze autorizzative, assegnate e da assegnare, proprio in riferimento al dato sismologico. L'invito è quindi quello di una presa d'atto: un grande recevoir come quello che è in corso di definitiva approvazione non può ignorare il pericolo a cui la sua realizzazione esporrebbe i luoghi e gli abitanti che per prossimità ne fossero coinvolti. *Esponente del Comitato “No Sibilla”, Senigallia. (1) Mark Zoback e Steven Gorelich, Stanford University, California, Earthquake triggering and large scale geologic storage of carbon dioxide, 21 marzo 2012 “Malgrado i costi elevatissimi, la cattura e stoccaggio di CO2 è considerata una strategia praticabile per ridurre in modo significativo le emissioni connesse con la generazione di energia elettrica a carbone e con altre sorgenti che le producono. Qui noi intendiamo dimostrare che esiste un'alta probabilità che possano essere innescati terremoti attraverso l'iniezione di grandi quantità di CO2 nelle rocce friabili che sio trovano comunemente nel sottosuolo. Dal momento che anche piccole scorsse e terremoti di moderate dimensioni possono minacciare l'integrità della tenuta dei depositi, il CCS è da considerarsi rischioso, o probabilmente incapace di ottenere i risultati che cerca una strategia che vuole ridurre in modo significativo la presenza di gas serra.” National Research Council NRC, USA, Induced seismicity potential in energy technologies, Scientific American, 15 giugno 2012. “Già un rapporto dello United States Geological Survey aveva segnalato come la reiniezione di fluidi di scarto dalle operazioni di fracking possa causare terremoti. Il NRC va oltre e afferma che anche le trivellazioni di gas e petrolio convenzionali possono portare a fenomeni sismici, non solo lievi. Il rapporto compila con certosina pazienza tutti i casi in cui a parere dell'NRC sono da considerarsi terremoti indotti dall'estrazione di energia o di altro materiale dal sottosuolo: petrolio, gas, geotermia, acqua, sia con metodom tradizionale che con quelli cosiddetti non-convenzionali. Il rapporto non stima la possibilità che questi terremoti accadano in futuro, ma si limita ad elencare quelli osservati e che possonbo essere attribuiti cvon buona probab ilità all'uomo. Uno degli autori dello studio, Murray Hitzman, della Colorado School of Mines, afferma che le tecniche peggiori sono quelle che portano forti squilibri come il sequestro di anidride carbonica e l'iniezione di acqua di scarto nei pozzi dismessi, che sono pericolosi perché tendono ad aumentare le pressioni sotterranee su aree molto vaste, con maggiori pericoli di disturbo delle faglie, e quindi della possibilità di causare terremoti. Hitzman conclude che non esistono metodi ottimali per minimizzare i rischi per nessuna delle tecnologie utilizzate”. Van der Elst, Savage, Keranen, Abers, Enhanced remote Earthquake triggering at fluid-injection sites in the Midwestern United States, Science, 12 luglio 2012 “Il recente drammatico aumento dei fenomeni sismici nel Midwest degli Stati Uniti può essere messo in relazione con l'intensificazione di iniezione di acque reflue in profondità. Qui noi dimostriamo che aree caratterizzate da terremoti di sospetta origine antropica sono più suscettibili di altre di innescare terremoti da stress transitori naturali generati dalle onde sismiche di forti terremoti a distanza. Questa aumentata suscettibilità indica la presenza di guasti dovuti a forte appesantimento e di potenziali alte pressioni del fluido. La sensibilità all'attivazione a distanza può essere osservata molto chiaramente in siti con un lungo ritardo tra l'inizio dell'iniezione e l'insorgenza di sismicità. L'attivazione in zone sismiche indotte potrebbe quindi essere un indicatore del fatto che l'iniezione di fluido ha portato il sistema di faglie a uno stato critico.” Juanes, Hager, Herzoig, MIT, No geologic evidencethat seismicity causes fault leakage that would rebder large-scale carbon capture and storage unsuccessful, Proceedings of the National Academy of Sciences 109, n. 52, dicembre 2012. “La gran parte dei terremoti ha ipocentri molto più profondi dei reservoirs in cui la CO2 viene stoccata. Reservoirs di CO2 liquida sono esistiti da milioni di anni in regioni caratterizzate da un'intensa attività sismica. Scegliere bene il luogo è importante”. Lo studio smentisce Zobach e Gorelik: il fatto che serbatoi superficiali di CO2 in sovrapressione coesistano con basamenti profondi sismici non li autorizza a dire che lo stoccaggio non avrà successo. E' necessario studiare bene il contesto fisico del CCS. Jossy Cohen, MIT, 26 gennaio 2015 Da quando sono apparse le prime ricerche sulla tecnologia di cattura e stoccaggio della CO2, il cosiddetto “clean coal” ha rappresentato per molti una sorta di panacea ai problemi legati alle centrali elettriche a carbone. Oggi tuttavia il MIT avverte: lo stoccaggio del carbonio non è così efficiente come si era pensato fino ad oggi. Le attuali tecniche di sequestro geologici mirano a iniettare il biossido di carbonio nel sottosuolo a circa 7.000 metri sotto la superficie terrestre; a tali profondità, l’anidride viene conservata in profondi falde saline, grandi sacche di salamoia che possono reagire chimicamente con questo gas, solidificandolo. Gli scienziati del celebre ateneo hanno analizzato i dati presentati dall’EPA statunitense, l’agenzia di protezione ambientale, secondo cui le tecnologie di CCS attuali permetterebbero di eliminare dall’atmosfera fino al 90 per cento delle emissioni di CO2 delle centrali elettriche a carbone. Ma sebbene questi processi riescano effettivamente a rimuovere con efficacia le emissioni, non con altrettanto efficacia possono assicurare il loro sequestro a lungo termine. I ricercatori del Dipartimento della Terra e delle Scienze Planetarie del MIT hanno scoperto, infatti, che una volta iniettata nel terreno, la percentuale di anidride carbonica trasformata in sedimento roccioso è molto minore di quanto fino a ieri calcolato. “La parte che si trasforma in pietra, è stabile e rimarrà lì definitivamente”, spiega lo scienziato Yossi Cohen; “tuttavia, la percentuale presente in fase gassosa o liquida, rimane in grado di muoversi e può eventualmente tornare in superficie e quindi nell’atmosfera”. I ricercatori ci tengono comunque a sottolineare che le loro predizioni teoriche richiedano ora uno studio sperimentale per determinare la grandezza dell’effetto sopra citato. “Gli esperimenti potrebbero aiutare a determinare il tipo di roccia in grado di minimizzare questo fenomeno”, afferma Cohen. “Ci sono molti fattori, come la porosità e la connettività tra i pori nelle rocce, capaci di determinare il ‘se’ e il ‘quando’ del processo di mineralizzazione del biossido di carbonio”. Anna Kutchment, Drilling for earthquakes, versione italiana Trivelle e terremoti. , Le scienze, 6 settembre 2016 Gli scienziati sono sempre più convinti del legame tra terremoti e trivellazioni, ma le autorità sono tarde a reagire. (2) False Hope: Why carbon capture and storage won’t save the climate (Maggio 2008), in www.greenpeace.org/ccs. (3) Nella lotta contro i cambiamenti climatici avviata dall’Unione europea, il ruolo giocato dai sistemi CCS non è certo marginale. Tutt’altro. L’Ue, infatti, dimostra di credere nelle potenzialità offerte dalla tecnologia di stoccaggio e cattura della CO2: per questo l’ha fatta entrare tra quelle individuate come prioritarie dallo Strategic Energy Technology (SET) Plan della Commissione europea, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni di anidride carbonica del Programma EU 2020. Per portare avanti lo sviluppo del comparto è inoltre attiva dal 2005 Zero emission platform, una coalizione unica di soggetti uniti in sostegno alla CCS, che ha assunto il ruolo di consulente della Commissione europea sulla ricerca, dimostrazione e diffusione delle tecnologie specifiche. A livello di progetti, l’Ue ha anche avviato nel 2011 Ner 300 è uno dei programmi più importante al mondo per la dimostrazione di tecnologie innovative riguardo l’energia rinnovabile e la CCS. Il programma NER 300 è stato creato per finanziare almeno otto progetti per CCS, oltre a 34 dedicati alle energie rinnovabili, stanziando 4,5 miliardi di euro. (4) Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. Commissione tecnica di verifica dellp'Impatto Ambientale – VIA e VAS. Parere n.1127 del 14 dicembre 2012. “Nella mappa della Pericolosità sismica del territorio italiano compare la zona 917 a NE della quale è localizzato il complesso di stoccaggio Cornelia e alla zona 917 corrispondono i seguenti parametri: - magnitudo massima degli eventi (catalogo strumentale INGV 1983-2002): 4,9 Md [magnitudo di durata: mica poco, si avverte strumentalemnte in tutto il mondo]; - classe di profondità 5-8 km.; - profondità efficace: 7 km.; A tale zona appartengono anche la sorgente composita “ITCS008: Conero onshore”, che insieme alle sorgenti composite contigue “ITCS032/ITCS032_Fold 94: Mondolfo” e “ITCS 032: Pesaro-Senigallia” costituisce parte di quello che informalmente va sotto il nome di “Trend Costiero”; Non è conosciuta nessuna sorgente sismogenetica individuale, né alcuna sorgente composita in corrispondenza della struttura di Cornelia; a Cornelia non c'è evidenza di movimenti recenti che dislocano sedimenti recenti o il fondo del mare, come invece succede in corrispondenza della sorgente composita “ITCS008 Conero onshore”. In base a questi dati raccolti il proponente afferma che la struttura di Cornelia non è interessata da faglie con apprezzabile carattere sismogenetico. (5) Favalli, Frugoni, Monna, Rainone, Signanini, Smriglio, The 1930 earthquake and the town of Senigallia, novembre 1995. “La citta di Senigallia è un'area interessata da sismicità offshore. La città fu quasi completamente distrutta nell'ottobre 1930 da un terremoto del IX grado della scala Mercalli-Cancani-Sieberg e di intensità 5,9 della scala Richter”. Gli studi su quell'evento sono ripresi con notevole abbondanza in relazione alla valuazione del rischio sismico nell'area costriera del medio Adriatico, dunque per l'assetto urnbano, ma non trascurano l'eziologia del sisma, che riguarda la sismogenesi ipocentrica situata in mare. Mucciarelli, M. e Tiberi P. (a cura di), Scenari di pericolosità sismica della fascia costiera marchigiana / la microzonazione sismica di Senigallia, per Regione Marche e Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Gislab Urbino, 2012. Vannoli, Vannucci, Bernardi, Palombo, Ferrari, The source of the 30 october 1930 Senigallia earthquake, 2015 “Questa zona costiera - un lungo tratto di 40 km della costa adriatica tra Pesaro e Ancona - è caratterizzata da terremoti relativamente infrequenti e moderati e da faglie dall'attività non ben definibile (elusive active faults). Nonostante siano ben note le sequenze nordoves-sudest e le pieghe di propagazione vertebrali a nord-est che formano le spinte esterne degli Appennini, l'attuale livello di attività e la cinematica di queste strutture costiere sono ancora controverse”. https://ingvterremoti.wordpress.com/2013/07/21/sequenza-sismica-in-adriatico-storia-e-faglie-attive-parte-1/ “La conoscenza delle faglie attive nel settore dell’off-shore adriatico si basa soprattutto sull’esplorazione sismica effettuata negli ultimi decenni per ricerche di idrocarburi. L’interpretazione delle linee sismiche ha mostrato l’esistenza di diversi fronti compressivi sepolti, analoghi in qualche modo a quelli della pianura padana. Si tratta di strutture a carattere compressivo o trascorrente, come anche testimoniato dai (pochi) meccanismi focali dei terremoti recenti (per quelli antichi non esistevano dati per determinarli). Secondo i modelli geologici prevalenti questi fronti geologici sepolti sono attivi e orientati parallelamente alla costa, e sarebbero frammentati da faglie trascorrenti (ossia con spostamento laterale di un settore rispetto a quello adiacente) perpendicolari ai fronti stessi. Si veda il Database delle Sorgenti Sismogenetiche Italiane (DISS) per dettagli sulle faglie attive nella regione. Schema interpretativo di una delle linee sismiche attraverso la costa all’altezza del M. Conero. La faglia indicata in rosso è una delle possibili sorgenti sismiche attive nella regione

Schema interpretativo di una delle linee sismiche attraverso la costa all’altezza del M. Conero. La faglia indicata in rosso è una delle possibili sorgenti sismiche attive nella regione

 

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