“Il 610 è solo una satira anonima”
“Il 610 è solo una satira anonima”
Dopo l’intervento di Sergio Fraboni sulla polemica – fatto storico o no -, pubblichiamo la risposta di Giorgio Mosci all’ultimo intervento del prof. Marco Severini. Una replica che contiene nuovi elementi, sicuramente utili a valutare meglio l’intera vicenda
di GIORGIO MOSCI
Il prof. Severini non scrive affatto che il “610 è fatto storico”, e d’altronde non può scriverlo visto che non esistono prove. Si limita a dire che prima di lui hanno scritto su Pio IX = “610” noti e importanti storici locali, per poi continuare con un elenco bibliografico da cui si ricava che la storia del lenzuolo con la scritta “610” fa il suo debutto in un volume pubblicato nel 1969, “Senigallia e i suoi dintorni”, a cura di Renzo Paci, Sergio Anselmi e Marinella Bonvini Mazzanti, ben 112 anni dopo la presunta protesta dei famigliari e amici di Simoncelli.
È questa la fonte più antica che la documenta. E di cosa si tratta? Di un saggio storico opportunamente annotato e con precise indicazioni bibliografiche? No, di un libro «che vuole essere utile tanto al turista, che pone per la prima volta piede a Senigallia e desidera scoprirne gli aspetti meno consueti, quanto al senigalliese desideroso di approfondire …», (dalla Prefazione), insomma, poco più di una guida turistica. In un libro simile nessuno si aspetta indici analitici, note o apparati bibliografici accurati, che infatti non ci sono proprio. È una carrellata veloce di vicende storiche e descrizioni di luoghi e monumenti, con quasi altrettante pagine di illustrazioni oltre a quelle di testo. È in questo libro divulgativo che compare per la prima volta la storia del lenzuolo con la scritta “610”, ovviamente, come tutto il resto, senza una nota di commento o un’indicazione bibliografica. Non ci vuole molto a ipotizzare una tradizione orale, probabilmente scritta solo per dare sapore al racconto. All’inizio del secolo scorso era stato anche scritto di un lenzuolo nero che potrebbe essere l’antefatto della nostra storia.
Sarebbe opportuno un intervento della prof.ssa Bonvini Mazzanti per chiarire l’origine del “610”, non solo perché è l’unica vivente dei tre curatori del volume del 1969, ma soprattutto perché nei primi anni ’80 diventa l’unica autrice della ristampa riveduta, pubblicata con il semplice titolo “Senigallia”, che riporta ancora la vicenda del lenzuolo con la scritta “610”. È l’edizione citata da Mons. Polverari. Nella successiva ristampa del 1994, ancora riveduta, la prof.ssa Bonvini Mazzanti cancella la storia del lenzuolo con la scritta “610” e non scrive nulla nella sua storia di Senigallia pubblicata da Quattroventi, né nella prima edizione del 1998, né nella ristampa del 2008. La storia del lenzuolo con la scritta “610” viene però ripresa con rinnovato vigore proprio dal prof. Severini, una prima volta nel 2008, nella sua biografia di Simoncelli: “Girolamo Simoncelli: la storia e la memoria”, senza l’indicazione di una fonte, poi nel 2012 nella sua memoria “Senigallia divisa: Pio IX versus Girolamo Simoncelli” pubblicata nel volume miscellaneo “Memorie, memoria, 150 anni di storie nelle Marche”, questa volta una nota c’è, e rimanda al suo precedente volume. Un bell’esempio di autocitazione.
Scrive il prof. Severini: «Si trovi una controprova, prima di gridare allo scandalo e di fare uso pubblico (e maldestro) della storia.»
Mi duole dirlo, caro professore, ma spetta innanzitutto a lei produrre la prova che l’episodio sia realmente avvenuto. Non basta scriverlo per farlo diventare vero, neppure se sono stati in più di uno a farlo. E poi una controprova io l’ho fornita. È la satira documentata nel 1870 da Luigi Morandi che riduce tutta la vicenda ad un’anonima pasquinata su cui, ne prendo atto, lei non ha speso una parola. È molto strano questo silenzio. Eppure la figura di Luigi Morandi dovrebbe piacere molto al prof. Severini. Insegnante, letterato, patriota garibaldino, massone, uomo politico, Morandi nasce a Todi nel 1844, nel 1867 partecipa da volontario alla campagna dell’Agro romano per la liberazione di Roma, combatte con Garibaldi a Monterotondo e Mentana. È deputato della Destra eletto nel collegio di Todi dal 1895 per tre legislature. Nel 1905 è eletto Senatore del Regno fino alla morte avvenuta a Roma nel 1922.
Una figura di laico a tutto tondo ed è difficile non dare fiducia a ciò che scrive, ma evidentemente la sua testimonianza non ha nessun valore per il prof. Severini, forse perché comunicata da uno che fa parte della “serie di personaggi che tutto fanno di professione fuorché gli storici”, mentre lui che storico si dichiara, mostra di guardare aristocraticamente sempre il dito e di non vedere mai la luna.
Sospetto che né il prof. Severini, né gli altri storici da lui citati fossero a conoscenza del volume dei sonetti di G.G. Belli e soprattutto della testimonianza del suo curatore, che invece non potrà essere più trascura da chi vorrà giudicare sulla veridicità del lenzuolo con la scritta “610”.
Su una cosa però concordo con lui. Penso anch’io che non ci fosse nessun motivo di dare dignità storica ad un racconto apocrifo di modesto rilievo storico.
Non condivido invece altre sue affermazioni, su cui però taccio perché questo non è il luogo adatto a una polemica storiografia e perché io non sono uno storico. Comunque il prof. Severini sa benissimo che questa non è affatto una «obsoleta contrapposizione tra le parti (italiani/papalini; cattolici/laici), già superata dalla storia», ma una contrapposizione sul modo di scrivere la storia. Inoltre, non posso non osservare che le sue riflessioni conclusive sono solo un debole tentativo di nascondersi dietro la figura di storici più autorevoli per difendersi da responsabilità che invece sono solo sue.
Lascio infine ai lettori il giudizio sul costante atteggiamento di sufficienza che il prof. Severini assume nei confronti dei suoi interlocutori, i quali hanno un nome e un cognome, e con questi si sono educatamente presentati, ma lui continua imperterrito a ignorarli.
Nella foto: Luigi Morandi
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